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Famiglie Berizzi e Frosio

Le seriole, mulini, fucine ed altri opifici in valle Imagna

Abbreviazioni utilizzate:

ASB = Archivio di Stato di Bergamo.

Voc. Tiraboschi = Vocabolario dei dialetti bergamaschi antichi e moderni, compilato da Antonio Tiraboschi – Seconda edizione – Bergamo – Fratelli Bolis, 1873.

Voc. Zappettini = Vocabolario bergamasco-italiano per ogni classe di persone e specialmente per la gioventù – ragioniere Stefano Zappettini – Bergamo tip. Pagnoncelli, 1859

Simboli utilizzati:

†1792 = deceduto l’anno 1792

°1654 = nato l’anno 1654

(1724-1768) = nato l’anno 1724, deceduto l’anno 1768

Misure di Bergamo:

Una brenta = 70,69 l – Una pertica = 662,3 mq – Una soma = 171,28 l – Un peso = 0,812 kg

 —o—

Le famiglie Berizzi e Frosio nel corso del XVII° secolo appaiano e si distinguano tra le più imprenditoriali della valle, furono mercanti e proprietari fondiari. Un altro punto comune fu la loro maestria nell’uso dell’energia idraulica: mulino, follo, fucina, hanno operato su tutti tipi di produzione. Oggi ancora, forse per poco, si vede la loro impronta nei paesaggi della valle, tra Codeghelli in Locatello e Cafrosio di Cepino, alcuni chilometri lungo il fiume, dove possiamo vedere gli opifici costruiti da loro, gestiti dalle successive generazioni, la gran parte di essi in ruderi, altri trasformati e convertiti ad altri usi. Delle seriole non rimane quasi niente, colmate dall’uomo o dalle frane, diventate inutili non sono state preservate, la natura ha ripresa i sui diritti, la vegetazione ha ricoperto indistintamente canali e edifici.

Produttori di pannilani, farine, olio, attrezzi o ferri da taglio, Berizzi e Frosio sono rappresentativi dell’energia creativa che caratterizza numerose famiglie della valle, spesso sono qualificati mercanti, termine generico che vuole dire un puo’ di tutto, rimane difficile quantificare ed elencare i prodotti del loro negozio, quelli che rinveniamo più di frequente sono: carbone di legna, fieno, tessile, bestiame e vino. Diversi indizi lasciano pensare che i fratelli Berizzi di Corna-Locatello nel corso del secolo XVII, controllassero l’intera fase di produzione e vendita dei pannilani, tra la lana grezza e la vendita del prodotto finito o semi-lavorato sulla piazza cittadina. All’esempio di Giovanni Morando Berizzi di Regorda, nel secolo XVII qualificato di mercante, forniva la lana (probabilmente anche il lino) a numerose filatrice e tessitrici della valle, come lo dimostreremo più avanti, suo fratello Giovanni Battista di Caprospero possedeva il follo e la tintoria e nello stesso periodo vedremo che Carlo, fratellastro separato, stabilito a Rota Dentro lui conciava le pelle[1]. Un inventario del 1815 rivela che nelle cantine di Cà Berizzi i vaselli, contenitori per il vino, rappresentava una capacità di produzione e di stoccaggio pare a 150 ettolitri, dunque il commercio del vino faceva parte delle numerose attività della famiglia.

A inizio Seicento sono citati Lanfranco e Bernardo Frosio che negoziano tra Ancona e Lanciano, anche loro, i Frosio, sono detti negozianti e mercanti, indubbiamente il testile entrava nel loro giro d’affare. Come tutti maggiorenti della valle, furono anche i primi segnalati a inizio Ottocento, possessori di una filanda da seta in Cepino.

Abbiamo scoperto con queste due famiglie un mondo facoltoso, almeno fino al Settecento, scoperto l’energia di un fiume che trasforma ferro, grano e lana in denaro, ma soprattutto una valle Imagna laboriosa.

Tessitura

Già nel secolo XIV la valle Imagna partecipava attivamente all’economia bergamasca, producendo il suo proprio panno di lana, il drapum valdemagnum[2], accanto la produzione del panno di Bergamo[3],  per secoli la produzione dei pannilani fu la principale attività della provincia[4], al punto di essere uno dei fattori della guerra civile nella seconda metà del Trecento, le valli volendo affrancarsi del controllo commerciale della parte del ceto mercantile cittadino.

La città propone anche a Bernabò Visconti la distruzione dei folli e delle tintorie per fare piegare le valli ribelli[5]. Interessante l’identificazione di certe famiglie della valle, il loro soprannomi derivano dei mestieri relativi alla trasformazione dei pannilani, siamo nel Cinquecento, troviamo i detti Garzaroli[6] di Locatello (garzatori), proprietari del mulino-follo di Codeghelli, che poi porteranno il cognome Locatelli o i Tintalora della famiglia Rota (tintori) di Mazzoleni, altri della famiglia dei Carminati si chiamano Imania, sono follatori, loro prendano il nome del luogo dove si svolge l’attività. Bernardo Fusari[7] di Valsecca a inizio del Cinquecento doveva fabbricare i fusi (ed altri oggetti di legno lavorati al tornio) utilizzati dalle donne della valle per lavorare la lana. Infine, non sarà neanche per caso che la parrocchia di Mazzoleni prende il nome di Sant’Omobono, cioè Tucenghi Omobono (1197) mercante laniero cremonese, patrono dei mercanti, dei lavoratori tessili e dei sarti.

Tantissime famiglie valdimagnine che le carenze alimentarie hanno spinto al movimento, si sono mosse, numerose di loro scavalcano i monti superando i confine di territorialità per trovare nuovi mezzi di sopravvivenza, altri si sono ingegnate a sfruttare le più piccole possibilità di lavoro, facendo prova di creatività. Micro-imprese si direbbe oggi, sempre casalinghe e familiari ovviamente tante di quelle rimangano allo stato artigianale, solo la tessitura rappresenterà lo stato il più avanzato di protoindustria, è per almeno tre secoli la famiglia Berizzi simboleggerà il lavoro e il saper fare in questa materia. Le prime statistiche del 1766[8] censiscano 8 telai da tela e 12 telai di panno di lana per tutta la valle Imagna[9], più precisi i numeri per gli anni 1785-1789: 1 telaio a Brumano, 1 a Locatello, 8 a Rota, 1 a S. Omobono, 4 a Bedulita e 5 a Strozza[10]. Poi nella seconda metà dell’Ottocento, con la famiglia Daina, l’avventura serica porterà al culmine l’epopea tessile, gestiscano al Prato Griso il filatoio da seta ad acqua di Ercole Daina, e alla Torre di Rota Fuori la filanda a vapore con galettiere di Riccardo Daina, alla fine del secolo questi due opifici, saranno a vapore, solo per la trattare la seta impiegando 114 persone[11] più altre 56[12] per la torcitura ed incannaggio della seta. Un po’ dopo lo stabilimento di Brancilione impiegherà 120 operai, anche loro lavorando la seta[13]. Quel periodo aureo non durerà, gli incannatoi di Corna e S. Omobono chiuderanno entro il 1913[14].

 Operosa Valdimagna

Ogni epoca è diversa ma vediamo, anno dopo anno, un ciclo ripetitivo, stagionale, immutabile, che lascia sempre una sensazione triste e dolorosa, dove taglia-pietre e carbonai partano della valle per esercitare la loro arte, semplici contadini che diventano boscaioli o muratori seconda la stagione, ma spesso le nostre “rondini”, hanno solo la forza delle loro braccia da vendere e la parole stessa braccianti qualifica e svalorizza questo non-mestiere.

Altri, e sono tantissimi anche loro, hanno botteghe e negozi in tutto il nord Italia da Novara a Venezia, ma pochi di questi ritornano al paese.

Per ribadire il difficoltoso stato della valle nel 1766[15] non ci sono nessuno carrettiere in valle…ovvio, non ci sono strade carrabili[16]! Ma i mulattieri e cavalcanti sono 32 con 77 muli, finalmente dei numeri record per la valle[17], ma non dimostrano soltanto il ritardo nelle infrastrutture viarie. Dicevamo dei braccianti? Nelle nostre statistiche sono gentilmente qualificati come lavoranti di campagna, altro record, sono 2715 in valle nel 1766[18]

Altri lavorano sempre il loro pezzo di terra ma hanno un’attività più sedentaria sono fabbri, tornitori, sarti, calzolai, ombrellai, fabbricano prodotti distribuiti da mercaioli e polivendoli in tutto il nord Italia, i Frosio di Cepino e Selino nel corso del secolo XIX si distinguano particolarmente come mercanti ambulanti.

Poi un raio di sole appare con altre statistiche, numeri un po’ rassicuranti che lasciano intravedere un volto diverso per la valle, siamo ad inizio Ottocento e l’amministrazione napoleonica ha almeno la particolarità di essere efficace, tra catasto e indagine statistiche ci ha lasciato documenti che mettano in luce certi aspetti del tessuto artigianale dell’epoca, vediamo a Bedulita nel luogo detto Fornace tre[19] fabbriche di mattoni gestite dai Pellegrini[20], a Berbenno località Valle del Campo, Bettinelli[21] Gio. Battista q. Giuseppe, fa l’armaiolo. Altra fornace[22] a Carosso di Rota Fuori di Luigi Mazzucotelli e Pasquale Berizzi. A Valsecca il numero delle persone (artigiani e operai) vivendo di professioni meccaniche, per l’essenziale sarebbe i lavoratori nelle fucine, sono 100, il piccolo Comune di Cepino ne conta 20 (nei grossi paesi come Almenno e Palazzago sono solo 26). Poi nella seconda metà del secolo appare nella contrada, all’epoca ancora di Rota Fuori, località Cimagnola: la fornace da mattoni e calce di Giuseppe Locatelli, oggi ancora il luogo porta il nome di Fornace. Sempre a Rota si contano 40 tornitori e 2 fabbriche di pasta da minestra. Troviamo a Capizzone una fabbrica di mobili con 12 operai, a Locatello una fabbrica di spirito, considerata come industria che dà lavoro a una sola persona! A Valsecca sono censiti 32 tornitori casalinghi[23].

Mutui e indebitamento

Nello spoglio degli archivi dei notai della valle i contratti di mutui saltano agli occhi, sono così frequenti e numerosi, nel corso dei secoli evolverà, il tipo di contratto cambierà nella forma e nel nome. Riteniamo che nel periodo da noi studiato tra XVI e XVIII s, il prestito di denaro fu un elemento fondamentale nell’economia locale, certamente rispondeva a un bisogno di liquidità di una parte della popolazione attiva, ma non si po’ ignorare il conseguenze dell’indebitamento sulle famiglie le più deboli della valle. Anche Giovanni da Lezze nella sua Relazione del 1596 sottolineava: La lunga vicenda della società cinquecentesca si concludeva tra l’altro con un diffuso indebitamento (…). I mercanti valdimagnini arricchiti fuori dei confini bergamaschi, investivano comprando proprietà fondiarie un po’ ovunque, ma il denaro ancora disponibile permetteva questi tipi d’investimenti dove esisteva un verosimile “mercato della povertà”. Non solo le famiglie Berizzi o Frosio, anche uno dei miei antenati, nel corso del Cinquecento, tra le sue varie attività praticava il prestito di denaro, quindi questi casati sono soltanto rappresentativi di un stile di vita, già descritto da altri, anche due secoli prima (XIV e XV s.).

La pratica più diffusa si avvaleva di vendite simulate, a cui facevano seguito contratti di locazione. Esempio di un mutuo, siamo l’anno 1680[24], si parla di un capitale di L.300 dovuto dagli eredi di un certo Battista Canzi, sul quale si paga all’anno interessi L.15 (il 5%) dal 1622, sono passati 58 anni e questi debitori non hanno potuto restituire il capitale!

Al termine di questi anni è stato già rimborsato quasi 3 volte la somma iniziale cioè: L.870!

Poi vediamo questi investitori scambiare tra loro i debiti dei loro creditori, rappresentava dunque anche una moneta di scambio. Per illustrare questo tipo di traffico un atto notarile del 1688[25] vede Tommaso figlio del fu Lorenzo Frosio di Mazzoleni vendere a Giovanni Morando figlio del fu Marcantonio Berizzi di Corna un capitale livello alla veniziana di Lire 350 dovuto dagli eredi del deceduto Giovanni Battista Todeschini di Felghera sul quale pagano il 5% d’interessi all’anno. Questo prestito del 1673 fu concretizzato, all’epoca, dal notaio Gherardo Gervasoni di Bedulita, il Frosio venditore consegna all’acquirente Berizzi una copia del rogito che diviene lettera credenziale. Il prezzo convenuto rimane lo stesso, L.350, ma l’interessante e di vedere il Berizzi pagare con una certa quantità di lana ed altra mercanzia.

Berizzi de Bolis

           Come i Quarenghi, Moscheni, Manzoni, prolifiche e antiche famiglie della valle, i Bolis non derogano alle tradizione e secolare costume, generano tantissimi soprannomi per distinguere i vari rami delle numerose famiglie portando questo cognome, l’appellativo-soprannome Berizzi sarà uno di quelli. Il cognome Berizzi si legge in un atto notarile[26] del 1427: è citato un certo Antonio detto Berizius figlio del quondam Bertrame detto Veschere de Bolis.

Sono parecchi i soprannomi dei Bolis, distinguiamo i detti Folli, Raselli, Rasini, Rubei, Nigrini, Bianchi, Peracchi, Pachi, Pannoni, Camparini (o Compini), Manchaslesi (o Manchafleri), Partilini, Vescheri.

Le radici le più antiche sembrano venire da Valsecca e Rota nel Trecento. Poi nel Quattrocento vediamo famiglie Bolis in Locatello, quella di Antonio detto Gazonus e i detti Rossi (Rubei) de Disderoli, arriviamo all’inizio del Cinquecento con i Bolis di Capassero in Berbenno.

Troviamo tracce dei più anziani Bolis della valle in varie archivi[27]:

  • 1335, Omeboni figlio di Martino detto Rati de Bolis di Valsecca.
  • 1346, Martino detto Rati figlio del q. Otteboni de Bolis di valle Imagna.
  • 1359, Ambrosio detto Pegionus figlio del q. Pietro Bolis de Rota de v. Imagna.
  • 1360, Manzino fu Ride de Bolis fu uno dei Consoli della Valdimania.
  • 1361, 1363, Omeboni figlio del q. Alberto de Bolis de valle Imagna.
  • 1363, Omniabono figlio del q. Rogeri de Bolis de valle Imagna.
  • 1422, Arnoldo figlio del q. Ambrosio Bolis di Valle Imagna (notaio).
  • 1427, Antonio detto Berizius figlio del q. Bertrami detto Veschere de Bolis.
  • 1434, Pietro e Alberto fratelli, figli di Rogery de Bolis in contrada di Bedulita.
  • 1430-1444, Arnoldo detto Follus figlio del q. Bertrami de Bolis de valle Imagna (notaio).
  • 1439, Arnoldo de Bolis fa divisione tra i figli: Arnoldo, Pietro, Antonio e Zanino in Valsecca-Gromo.
  • 1448, Comino e Martino, fratelli, figli del q. Arnoldo detto Folli de Bolis in vicinia di S. Lorenzo.
  • 1434, Martino figlio del q. Alberto de Bolis di valle Imagna.
  • 1439, 1442, Pietro figlio del q. Zanni de Bolis di valle Imagna (abitando Mapello)
  • 1444, 1454, Martino e Comino fratelli, figli del q. Arnoldo detto Folli de Bolis de valle Imagna.
  • 1449, Buonacquisto, Comino e Martino fratelli, figli del q. Arnoldo detto Folli olim Bertrame de Bolis de valle Imagna (nel 1454: cittadino di Bergamo, 1456: abitando Aquate).
  • 1444, Jacobo figlio del q. Arnoldo detto Folli de valle Imagna.
  • 1446, Stefano detto Gaiardo figlio del q. Zanini de Bolis de V. Imagna.
  • 1451, Bertrame detto Coroninus figlio del q. Ambrosio de Bolis de valle Imagna.
  • 1452, Tonolo figlio di Lorenzo de Bolis de valle Imagna.
  • 1455, Martino figlio del q. Bertrame de Bolis de valle Imagna.
  • 1456, Tonolo figlio del q. Ruggero de Bolis di valle Imagna, abitando Mapello.
  • 1452, Siro detto Rubei figlio del q. Pietro de Bolis, in Locatello-Cattivanome.
  • 1471, Antonio detto Job figlio del q. Vincenzo detto Rasello de Bolis di Valsecca.
  • 1476, Antonio detto Iob de Bolis di anni 66 e suo figlio (di Valsecca) hanno un negozio nel Friuli.
  • 1462, Rossi fu Pavone de Bolis di Rota Fuori.
  • 1462, Bertramus figlio di Petrus de Bolis de valle Imagna.
  • 1471, Vincenzo figlio q. Arnoldo de Bolis in Valsecca; 1476: Vincenzo de Arnoldo de Raselo di anni 48 lavorente da lana.
  • 1471, Omniabono detto Savoia figlio del q. Antonio Bonomi de Bolis.
  • 1471, Vincenzo figlio del q. Pietro de Bolis di Valsecca.
  • 1471, Martino e Maffeo fratelli, figli del q. Simone olim Vincenzo detto Raselli de Bolis abitando Valsecca.
  • 1471, Francesco figlio di Giacomo detto Follus Bolis, notaio in Bergamo.
  • 1472, Antonio detto Gazonus figlio delq. Ruggero olim Bertrame detto Bazini de Bolis abitando in valle Imagna, contrada di Locatello.
  • 1472, Bernardo detto Nigrinus figlio del q. Bonomi de Bolis de valle Imagna.
  • 1476, Sanoya de Bolis di anni 55 merchante in Asolo de Trevisana, proprietario in Valsecca.
  • 1472, Bertramus e Guelmi fratelli detti B… figli del q. Antonio detto Berizzi de Bolis di Rota.
  • 1472, Maffeo e Lorenzo figli del q. Pietro Veschere de Bolis di Rota.
  • 1472, 1473, Manzino figlio del q. Arnoldo Bertrame de Bolis de valle Imagna.
  • 1472, Giovanna figlia di Omniabono detto Sanoye figlio del q. Antonio olim Bonomi de Bolis de valle Imagna.
  • 1481, Defende figlio del q. Pietro de Bolis de valle Imagna, abitando Mapello.
  • 1481, 91, 94, Leonardo e Baldassare, fratelli, figli del q. Martino Folli de Bolis, notai in Bergamo.
  • 1488, Martino figlio del q. Antonio de Bolis de valle Imagna.
  • 1490, Martino figlio di Vanotto Bolis, parroco di Fuipiano.
  • 1491, Guelmus detto Berizzi figlio del q. Antonio detto Berizzi de Bolis.
  • 1518, Vitalis Rubey de Disderoli (Locatello).

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[1] La conciatura richiede l’uso di molta acqua e, secondo il tipo di produzione, il passaggio per il follo, dunque la prossimità del fiume.

[2] Valdemagnum – La produzione della lana nella Valle Imagna era importante, benché non fosse considerata di speciale qualità, aveva sicuramente un particolare valore e un proprio nome, i panni chiamati Valdemagnum figurano infatti nei tariffari dei pedaggi nel nord Italia nel secolo XIV. Negli statuti di diverse città dell’Italia settentrionale si trova frequentemente citato il drapum valdemagnum, che non era assimilato ad un tessuto di grande pregio, ma sicuramente di quantità notevole, forse indicava più una tipologia che non una provenienza, pur avendo il centro produttivo originario nella valle Imagna. Il valdemagnum si trova inserito fra le merci elencate nel patto commerciale concluso fra Milano e Venezia nel 1317, nel tariffario dei dazi di Como e nelle provvisioni emanate dai Visconti negli anni 1340-1350.

Estratto datato 1345 del: Liber datii mercantie comunis mediolanis

In nomine Domini, MCCCXLV, indictione XIII, die sabbati XVIIII mensis martii. Cum multe mercantie ducantur a civitate et episcopatu Cumdrunt, Pergami et a partibus Valliscamonice, episcopatu Brixie, ad civitates Papie, Novarie earumque episcopatum in Lacum Maiorem et ultra Ticinum, maxime, inter alias mercantias, falces de predariis, drapos de Valdemagna et codas de predariis de quibus evitatur per mercatores fieri solutio datii, pedagii den.XII pro libra e datii veteris communis M., asserentes mercatores evitare pro magnis pedagiis que oportent solvere communi M[…..]. Estratto dai studi di: François Menant: “Aspect de l’économie et de la société dans les vallées lombardes aux derniers siécles du moyen age.” – Prof. Patrizia Mainoni: Per un’indagine circa i panni di Bergamo nel 200, in EAD, Economia e politica nella Lombardia medievale, da Bergamo a Milano fra 13 e 15 secolo. – Liber datil mercantie communis Mediolani – Registro del secolo XV – A cura di Antonio Noto – Università Bocconi – Milano, 1950.

[3] Nel corso dei secoli queste definizioni cambiano, sul mercato saranno chiamati panni bassi o alti.

[4] Rivelatrice sono le antiche misure di stoffe, in uso presso i mercanti, scolpite sul muro della chiesa di Santa Maria Maggiore in città alta di Bergamo.

[5] Storia Economica e Sociale di Bergamo – I primi millenni – Il Comune e la Signoria, p.309

[6] Garzador: cardatore

[7] Fuser: fusaio

[8] Dati estratti da Anagrafe Veneta 1766-1770 da Pietro Gritti in: L’uso delle acque: magli, molini e industrie dai paesi di testata a Ponte S. Pietro – “Il fiume Brembo” di Lelio Pagani – Prov. di Bergamo, 1994.

[9] Industria tessile casalinga, numeri alla fine dell’Ottocento, in: Statistica Industriale – Lombardia – Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio – 1900.

Telai per lino o canapa Telai per materie miste Giorni di lavoro all’anno
Bedulita 4 120
Berbenno 4 60
Brumano 3 270
Capizzone 6 90
Corna 6 6 30
Costa 2 90
Fuipiano 3 240
Locatello 3 30
Mazzoleni 3 60
Roncola 4 90
Rota Fuori 4 180
Strozza 4 90
Valsecca 5 180

 

[10] “Anagrafi venete” in Storia Economica e Sociale di Bergamo – Fra Ottocento e Novecento – Il decollo industriale – 1997, Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo. Pagina n.21.

[11] Uomini 2 e donne 112 per una media di 150 giorni di lavoro all’anno.

[12] 101 a Strozza.

[13] Statistica Industriale – Lombardia – Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio – 1900.

[14] Storia Economica e Sociale di Bergamo – Fra Ottocento e Novecento – Il decollo industriale – 1997, Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo. Pagina n.28.

[15] Dati estratti da Anagrafe Veneta 1766-1770 da Pietro Gritti in: L’uso delle acque: magli, molini e industrie dai paesi di testata a Ponte S. Pietro – “Il fiume Brembo” di Lelio Pagani – Prov. di Bergamo, 1994.

[16] Gabriele Rosa, scrisse: L’aspra e vasta montuosità del suolo bergamasco, vi limitò e ritardò l’uso dei carri e delle carozze, e vi mantenne la preferenza del portare a spalla o sul capo d’uomini e donne, come ancora si pratica né monti della Dalmazia ed in Valle Imagna (…) in Notizie statistiche della provincia di Bergamo – 1858.

[17] Il paragone si fa con la Valle Brembana Superiore, V.B. Inferiore, Oltre la Goggia, Val Averara e Valtorta, Val Taleggio, Almenno, Quadra di Mezzo tra Brembilla e Mozzo, Isola: Brembate di Sopra e Ponte S. Pietro.

[18] Idem, nota precedente.

[19] Una sola fornace segnalata nel 1785-89 per Bedulita – Storia Economica e Sociale di Bergamo – Fra Ottocento e Novecento – Il decollo industriale – 1997, Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo.

[20] Mappa napoleonica del 1812, mappale n.570 di Giacomo Antonio di Gio. Battista Pellegrini, il n.572 di Giacomo di Gio. Battista Pellegrini, il n.588 di Giacomo Antonio q. Giuseppe Pellegrini, al Fenile.

[21] Mappale n.298 casa con bottega ad uso di armaiolo.

[22] Catasto del 1815, particella n.1910.

[23] I tornitori della valle Imagna sono, da antico, assai vantaggiosamente conosciuti fuori della loro valle; essi si recano anche in Francia, ad esercitare la loro arte (…) anche nel comuni di Mazzoleni e Falghera e di Costa di valle Imagna è molto sviluppata l’industria casalinga della tornitura del legno, in: Statistica Industriale – Lombardia – Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio – 1900.

[24] ASB – archivio notarile – not. Gio. Antonio Farina-Manzoni, filza 4137, atto n.8. Eredità Frosio di Mazzoleni.

[25] ASB – archivio notarile – not. Antonio Gervasoni, filza 6042, atto del 13 gennaio 1688.

[26] ASB: Giuseppe Gerolamo Ercole dei Capitani di Mozzo (1697-1777), storico che compila l’opera monumentale: “Antichità Bergamasche” l’originale in biblioteca Civica Angelo Mai-Bergamo.

[27] G. Mozzi sopracitato, poi in Biblioteca Mai: Pergamene, altre pergamene in Biblioteca Ambrosiana di Milano ed altri rilevamenti nell’Estimo di Valsecca (1476) pubblicato in Storia Economica e Sociale di Bergamo.

 

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