Attrezzi, utensili, mobili ed indumenti inventariati tra Cinquecento e Settecento in alta valle Imagna

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Voc. Tiraboschi = Vocabolario dei dialetti bergamaschi antichi e moderni, compilato da Antonio Tiraboschi – Seconda edizione – Bergamo – Fratelli Bolis, 1873.

Appendici al vocabolario dei dialetti bergamaschi compilate da Antonio Tiraboschi – Volume 1 – Bergamo – Tip. Frat. Bolis, 1879.

Voc. Zappettini = Vocabolario bergamasco-italiano per ogni classe di persone e specialmente per la gioventù – ragioniere Stefano Zappettini – Bergamo, tip. Pagnoncelli, 1859.

Voc. Angelini = Abate Giovanni Battista Angelini (1679-1767) – Vocabolario Bergamasco Italiano Latino – Centro Studi Valle Imagna, 2012.

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Ho analizzato e studiato diversi tipi d’inventari, tutti estratti dagli archivi di notai valdimagnini.  In primis ci sono quelli realizzati per la divisione dei beni tra eredi, oppure per la separazione tra fratelli o ancora per l’emancipazione di figli dall’autorità paterna.

Poi, i corredi e la stima dei beni portati in dote dalle future mogli, trattasi perlopiù di abiti femminili, biancheria e gioielli, in questo caso l’inventario viene eseguito da un sarto del luogo, poche volte la sposa conferisce qualche mobile. Infine, l’inventario fatto per il decesso del padre che lascia i figli minorenni, in questo caso non c’è la stima del valore degli oggetti.

Sono stati verificati 68 inventari dei quali 53 sono stati spogliati per questa ricerca, alcuni completamente, altri solo parzialmente. Risultano circa 2500 oggetti censiti tra il 1542 e il 1792.

Sono, nella maggior parte dei casi, inventari di persone della classe sociale media o benestante.

Il più umile, qui sotto ritrascritto, (1629/126) è l’inventario dei beni lasciati dal defunto Giuseppe figlio di Giovanni Giacomo Locarini del Chignolo di Rota Dentro.

Famiglia fortemente indebitata, deve Lire 214.

Un letto con la sua coperta di fodrigha usato

Due coperte da letto

Duoi lenzuoli

Diverse casse volgarmente chiamati schrigni

Rame in diversi vasi quali pesano L. 8 in tutto

Uno vasello di tenuta de brente quattro

Una zappa, uno ferro da taglio chiamato segur

Un altro ferro da taglio chiamato segurello

Duoi altri ferri parimente da taglio chiamati sarzi

Una tavola

Diversi banchetti da sedere

Una cattena da fuoco

Una vaccha

Abbigliamento

I miei ricordi d’infanzia vedono gli anziani, in particolare mia nonna, vestiti in una sfumatura di nero e grigio, poi l’altro legame con i tempi passati, sono le vecchie foto, anche lì dominano colori scuri o “bianchi e neri”, cioè le foto dell’epoca, inizio del Novecento.

La nonna (nata 1897) che ho conosciuto all’inizio degli anni 60 (1960!) indossava gonna e grembiule scuri, andava testa scoperta, metteva il fazzoletto solo per andare in chiesa o nei contesti festivi, mentre il nonno lui portava ancora il cappello nero di feltro o il berretto in qualsiasi circostanze. Forse la ricorrenza dei lutti costringeva le donne, per rispettare i cannoni della loro epoca, di vestirsi di nero?

Non ho la risposta, ma rimanere con una visione di un disgradato chiaroscuro, di bianco e nero, sarebbe un grossolano errore! I nostri avi portavano vestiti ben colorati, il rosso era colore particolarmente dominante, come lo dimostrano questi inventari.

I vecchi ricordi vengano svegliati anche dalla raccolta fatta da Alberto Cima nel libretto Il tempo di Rota degli anni ’90, foto della gente di Rota. Questo libro insieme a tante altre foto di altri paesini della valle, oggi custodite dalla Regione Lombardia. Una carrellata di vecchie fotografie dove, soprattutto per le donne, emerge alcuni frammenti dell’abbigliamento tradizionale. Queste foto-ricordo scattate alla fine dell’Ottocento ed inizio del Novecento, spesso sono ritratti di coppie con l’abito festivo, la donna porta gioielli ed alcuni accessori, il suo vestito sembra particolarmente fedele a quello che troviamo descritto negli inventari studiati, quello dell’uomo invece si è evoluto.

Con questi pochi ricordi e ricerche iconografiche abbiamo una particolare idea della storia dell’abbigliamento tradizionale valdimagnino, o, per essere precisi, un idea del passaggio dal vestire tradizionale a quello attualmente in uso. Oltre alla vestibilità e l’estetica, l’indumento racchiude un significato culturale e sociale, alcuni capi di abbigliamento sono l’elemento di appartenenza ad una determinata classe sociale o l’espressione di prestigio di pochi privilegiati.   

Abiti inventariati

Bianchetta: nel Cinquecento questo termine indicava il tipo di maglia intima da indossare a diretto contatto della pelle soprattutto d’inverno. Nei tempi successivi verrà chiamata anche camisola (camisòl), generalmente realizzata in panno, portata tanto dalle donne quanto dagli uomini, il colore dominante è il rosso. I vocabulisti bergamaschi dei secoli passati assimilano questo capo al corpèt o crosetù.

Per coprire il torace abbiamo trovato diversi tipi di indumenti detti busto, marcina[1], farsetto, giubbone, camicia, casacca[2], velada[3], polacchino[4], crosetta. Poche volte viene citato il giuppone[5], una sorta di giubbetto.

La camicia ed il busto sono i capi di vestiario più citati.

Camicia: è l’indumento più numeroso negli elenchi, abbiamo chiuso il nostro conto a 225 camicie (in 47 inventari), e non le abbiamo segnate tutte! Il tessuto utilizzato è la tela di lino, poche di cotone e stoppa, alcune con pizzi. Il colore non è mai definito, probabilmente il notaio ed i suoi aiutanti lo consideravano un dettaglio poco importante, probabilmente saranno state tutte bianche.

Busto: di colore molto variabile, verde, celeste, rosso, nero, anche di stoffe diverse: panno, bavelotto[6], capizola, sarza[7], seta, stamina.

Zachetta: citata unicamente nel Cinquecento, il termine è certamente una forma dialettale della giacca per donna. Fatta di panno alto (cioè di buona qualità) è spesso di colore rosso.

Fazzolo[8]: (fazul), dopo la camicia è il capo più utilizzato sia dalle donne che dagli uomini, descritto da testa o da spalle, è detto di velo, seta, tela, lino, cotone, mussolina, alcuni adornati da pizzi e ponte. Certamente l’equivalente del fazzolo fu il panno, siamo nel Cinquecento, soltanto da donne è detto da capo (testa), da corpo e da spalle, spesso di cotone.

Ghirone[9]: (giro, ghirù), un tipo di sottogonna indossato dalle donne, alla fine del Seicento, per la parte bassa del corpo, cioè dalla vita in giù, fatto perlopiù di panno o mezzolano[10]. Il colore dominante è il rosso.

Sottana[11] o sottanino: meno frequente del girone, viene elencata come elemento di pregio tra il ‘600 ed il ‘700, il valore è tra le 23 e le 46 Lire.

Pedagno[12]: l’attuale gonna. Tra il Seicento ed il Settecento di tessuto detto valesio[13], tela, mezzolana, bavelotto, capizola, durante, sarza, stamina. Non c’è un colore dominante, ma quelli scuri sono più numerosi.

Bigarolo: (bigarùl), è un grembiule di tela o di filo. L’appellativo viene utilizzato essenzialmente nel Cinquecento, sostituito poi dallo scossalo[14] detto di filo, indiana, cotone, cambraia[15].

Vesta: (èsta), tra il Cinquecento ed il Settecento viene spesso citata. Secondo le descrizioni notarili si tratterebbe dell’insieme della gonna con il busto cuciti insieme, di un valore elevato (intorno le 35 Lire), di sarza, panno o capizola.

Antonio Tiraboschi la veste la definisce: …vestito da donna, e questo è propriamente quello esteriore e intero, che ha maniche e sottana cucita alla vita.

Vestito da donna: viene elencato senza una descrizione precisa, forse si tratta sempre della veste.

Braghe: (braga, bragesse, bragoni), le indossa l’uomo e coprono dalla cintura fino al ginocchio.

Cappa: (cappotto), nel Cinquecento alcuni si coprono con la cappa di panno, sempre nera. Più tardi si userà il ferraiolo[16] o tabarro.

Scarpe: abbiamo censito soltanto una ventina di paia nei 47 inventari, forse perché durano per molto tempo, e tre paia di stivali, uno dei quali detto da cavalcare.

Nel Cinquecento e Seicento sono citate alcune paia di zibette da donna o anche zibi, probabilmente una sorta di pantofole[17] di cuoio.

 Accessori

Cuffia: (schufia[18]) nel Cinquecento le donne indossano ancora la cuffia, spesso di colore nero, poi, nel Seicento viene sostituita dal fazzoletto o fazzolo da testa. Solo due volte viene citato il fazzoletto per il naso, cosi descritto: un paio di fazzoletti da naso[19] lavorati, siamo nell’anno 1586, del valore di Lire 4.

Cappello: è poco portato, ne abbiamo censiti soltanto 6, senza particolari caratteristiche, e 4 berette, copricapi portati principalmente dai preti.

Calze: sono portate ambo i sessi, spesso di lana o di stame.

Cinturino: di velluto o di seta, ma viene citato raramente. Nel Cinquecento il collare o colletto o ancora gorzera tanto da uomo quanto da donna.

Maniche: (maneghette[20], manege), le donne le usano di ermisino, velluto o lana.

Maniza: (manicotto), di agnello o coniglio.

Peturina[21]: usata nel Settecento, ma poche volte citata.

Sendale[22]: importante complemento di pregio del valore medio di Lire 15. Viene descritto dai vocabulisti come un drappo sottile, un velo grande di seta, da sposa, con pizzi o merli, di uso ridotto, probabilmente solo nelle famiglie agiate.

Sottomaniche: nel Settecento alcune donne le usano, spesso di cotone, per non lasciar intravedere il braccio nudo!

Gioielli

Scopriamo 9 anelli d’oro e 1 d’argento, spesso con pietra: turchina, rosa, bianca, rossa.

Le collane sono numerose, ne abbiamo contate 43, dette: collari, collo, collanina, filo o filza, la maggior parte composte di coralli adornati da bottoni d’oro e granati.

Nelle credenze popolare al corallo veniva riconosciute alcune virtù di protezione e di fertilità.

Stoviglie e Posate

Nel periodo studiato gran parte dei pezzi per la tavola e per la cucina, per contenere e servire il cibo, sono di peltro ma tantissimi anche di maiolica, alcuni, ma davvero pochi, sono di terra cotta.

I bicchieri sono detti tondi. Nel 1740 sono citati i bicchieretti di vetro per caffè.

Le posate sono di ferro o di ottone. Grande sorpresa di trovare delle forchette[23] segnate l’anno 1542[24]! Sono citati 4 pironi d’argento. Poi un grande salto fino il 1683, per ritrovarle, dette pironi o forzine.

Nel 1725 un unico notaio, per nominare il cucchiaio, utilizza il gergo veneziano sculiero.

Spesso il notaio si accontenta dell’appellativo rame per qualificare i contenitori per cucinare, così scritto: rame in diversi vasi seguito dal peso. Il valore, molto alto, si misura al peso del rame. Quando lo scrivano entra nei particolari troviamo:

Caldaiolo, caldera, calderolo, sono di rame con cerchi e manici di ferro.

La padella e padellino di rame come di ferro può essere con clusone o testo (coperchi), può essere da borole (castagne). Troviamo il perolo per la polenta (solo 4 pezzi), e la pignata[25] (detta alla veneziana), n. 9 pezzi.

La ramina (26 censite) è definita dall’Angelini come catino, dal Tiraboschi come un vaso di rame per lasciar riposare il latte che diventerà panna.

Il stegnàt (paiolo) rimane l’utensile il più utilizzato e dunque il più numeroso negli inventari (53), viene detto: stagnadello, stagniado, stegnadello, stegnato. Anche per lui il valore è determinato dal peso.

Apparecchi e altri utensili domestici

Un apparecchio indispensabile fu la bilancia (balanza), detta lireta, pisetto, stadera, ne sono state censite 47, di ferro, di ottone o di rame. Una, nell’anno 1587, certamente già antica è detta: stadera con l’asta di legno vecchia… La bilancia viene definita secondo la sua capacità di pesatura, la più potente arriva a pesi 25 (20 kili). A volte viene accompagnata dai suoi campioni di ottone o di ferro.

Sono tre bilanzine dall’oro con le loro cassettine di legno, utilizzate soprattutto per il controllo delle monete.

Troviamo il bacile sempre di ottone e anche il barile a volte detto per l’aceto.

Gli accessori per il camino sono il bernazzo[26], moietta, soffietto, treppiede, brandenali[27], la catena da fuoco o sosta.

Nel Settecento la pratica di stirare i vestiti non è ancora diffusa, il ferro da stiro, o sopressa, viene citato una sola volta nel 1724 come l’attrezzo di un sarto.

Gli specchi sono poco numerosi, solo 6, detti con cornice. Curiose le tre teste o testiera da parrucca.

Alcuni santaroli d’ottone, crocefissi, reliquiari, immagine sacre e quadretti incorniciati con effigie di Santi e poi tanti altri oggetti più o meno conosciuti ed identificati:

Agerolo, asidarolo, basiete, tapieri, bisoli, bronza, bruschini, bugadore, candelieri, caponera, cassa dall’acqua, cavagne, cavedoni di ferro, cazulera, conca e conchetti di legno, sesola, cugioni (cügianù) d’ottone, fiaschi, gradella, gratarola, gropetti, lumi, lampada d’ottone con suo vetro, lanternino di ferro, lavamano, lavezzo, lavezzolo, mortaro di preda, preda da molare, monga per scaldare il letto, scaldaletto di rame, ola da olio, olette, olini, secchia, sedelino, sedella, soglio (soio) dai panni o sia mastello.

 Mobilio

Sono 170 i mobili descritti secondo la natura del legno utilizzato per la sua fabbricazione, dei quali 132 (quasi l’80%), sono di noce. In base al tipo di legno seguono: il peghera (abete) con 17 elementi, di castagno 13, olmo (albara) 5, ciliegia 1, rovere 2.

La cassapanca, come la indichiamo oggi, viene chiamata semplicemente cassa o cassone (casò, cassù). Il numero è impressionante: 43 casse, 10 cassoni, 23 cassette o cassettine, 55 scrigni o scrignoli.

La cassa, spesso con serratura, viene descritta: dipinta, con ornamenti, con fattura, ordinaria, ornata. Una cassa viene detta usata come letto e un’altra intagliata con arma Roncalli.

Alcune cassette sono utilizzate per la conservazione della farina, ma c’è anche l’arca: il farinaio.

L’armadio, come lo conosciamo oggi, ancora non esiste, ma ci avviciniamo, nel Settecento troviamo l’armario di peghera grande, o l’armero con le sue antine (sono solo 4 censiti).

Il vestiario (vesterio-vestère), che sarebbe il comò di oggi, alto circa 1 metro con 3 o 4 cassetti dentro, uno sopra l’altro (9 censiti, solo nel Settecento).

Per i bisogni corporali sono segnati: una cassetta detta “per comodità” come pure troviamo una sedia detta cadrega de comodità.

In cucina si trova la credenza o credenzone (14 censite) può essere con cassetti, con serrature ed intagliata. Sopra si appoggia scansi (scanzia per i tondi e scudelle), il tavolo generalmente quadrato, alcuni (solo 2) sono tondi e in due pezzi.

Soltanto 4 abitazioni possiedono la panera (madia).

I banchi, qualche volta detti cassa, da sedere (al fuoco), o appresso al letto. Nel Cinquecento si usa di più il termine banchetta o descho (descheto).

Per sedersi c’è la cadrega (sedia) alcune impagliate. C’è la scabella (scabèl) senza schienale e la scagna spesso con tre piedi, alcune dette fatte al tornio.

Per la preghiera c’è l’inginocchiatoio, l’oratorio (oratòr) di noce, a volte con cassetti e colonnette, con cornice, di rimesso.

Letti e tessili corrispondenti

Il letto è composto dalla lettiera (letera-litiera), cioè il mobile di legno, la testiera (alcune intagliate) certe volte con colonne a ritorto, con il fondo solato di asse. Ne abbiamo elencati 41.

Nella lettiera si appoggia sul fondo di asse quando c’è, o su due cavalletti, il pagliazzo-paiazzo (pagliericcio) sul quale si pone lo stramazzo (materasso) di lana. Altre volte il materasso viene detto semplicemente letto di lana, o letto di piuma per i più agiati, sono censiti nº 23, il valore del letto di piuma si misura in base al peso.

Si usa il capezzale (cavessàl) di penne o di lana, che misura la larghezza del letto, e i cuscini individuali.

La coperta è generalmente di lana, spesso detta valenziana.

Il lenzuolo è un elemento essenziale del corredo, in proporzione ai letti censiti le lenzuola sono molte di più e di una varietà, qualità e prezzi molto diversi. Detti di tela, canevazzo[29], lino e stoppa, mezzolana, ornati di pizzi, zana, canetta.

La federa del cuscino si dice fodreta o fodrigeta (fodrete da cosini).

L’asciugamano (sugamane o mappa) praticamente non ci sono, 13 in tutto censiti (sono 8 nella stessa casa).

Attrezzi

Tutti gli attrezzi convenzionali, tipici della comunità rurale e contadina, sono così elencati:

Badile, coltra, vanga, zappa, zappette, zappone, falce (ranza, folze, folzetto), podetta o sia folcetta, martello da ranza, massa per tagliare il fieno, fraschèra o sdirna, rastelli, raschio, lime, manera, marteletto o sparsello per battere i cerchi di vaselli, martelli da muratore, folzone per la carne, crivello, cazula da muratore, ferri da torno, da telaio, da marengone, sarzi, sarzetti, corlazzi, pigazza, pigazzino, segere, segur, segurello, segurino, sgorbine, tenevella, misuretto da sarto, misuretto per tela e panno, aspa e ghìndola (arcolaio) delle filatrice, pettine da far stame, parita per ordire panni, spinazzi da lino, telai per fare: panni, droghetti, saette.

Altro

Nel Cinquecento sono inventariati le castagne, frumento, fagioli, noce, spelta, segale e vino. Successivamente troviamo il mais (melgone), rape, orzo, olio di noce, uva, formaggio e carne.

Le armi sono numerose. Tutte le famiglie possiedono almeno un archibugio, nei nostri 47 inventari ne abbiamo censiti 23. Sono detti da azalino, da ruota, da misura, con martellina. In più dei 23 archibugi, abbiamo anche censiti 9 detti schiopetta, 14 detti sciopo. Le pistole sono 6 dette terzette. Troviamo anche un’alabarda, una balestra da bolsoni[30] e 8 spade.

Valore delle cose

Sui 53 inventari spogliati 31 hanno il valore stimato (o realmente pagato) degli oggetti elencati. Nella tabella seguente il valore indicato concerna essenzialmente i secoli XVII e XVIII.

E difficile stabilire un valore preciso dei manufatti citati negli inventari, la descrizione degli oggetti è molto sommaria, sono detti: usati, nuovi, spesso non è indicato niente. Dunque senza sapere le misure, la qualità del materiale, delle rifiniture o degli ornamenti è problematico centrare un valore medio, abbiamo scelto di proporre una forbice tra un minimo e un massimo, eliminando gli estremi. La moneta (L.) è la lira.

archibugio 6 a 24 L. lettiera 10 a 30 L.
schiopetta 13 a 25 L. letto di piuma 30 a 70 L.
schiopo 7 a 34 L. pagliazzo 2 a 10 L.
arcolaio 1 L. stramazzo di lana 25 a 48 L.
badile 1 L. coperta di lana 10 a 20 L.
manera 2 a 4 L. cuscino lana o piuma 1 L.
martello da muratore 1 a 2 L. fodretta 1 a 2 L.
palo di ferro 8 a 12 L. lenzuolo 8 a 18 L.
pigazzo 0,5 L. tovaglia 4 a 8 L.
ranza 1 a 2 L. tovagliolo 1 a 2 L.
sarzo 1 a 2 L. armario di peghera 11 a 20 L.
segura 2 a 3 L. vestiario 15 a 40 L.
tellaro da panno 70 L. cassa 9 a 19 L.
vanga 3 a 6 L. cassone 10 a 30 L.
zappa 1 a 2 L. cassetta-cassettina 3 a 5 L.
zappone 3 a 5 L. scrigno 4 a 16 L.
cucchiaio d’ottone 4 soldi credenza con scanzia 5 a 30 L.
peltro (bicchieri-piatti) 4 L./kg banchetta-banco 3 a 8 L.
anello d’oro 10 a 26 L. cadrega 2 a 5 L.
collana d’oro con coralli e/o granati 17 a 43 L. scagna < 1
filo (filza) di granati 6 a 24 L. scabella 1 a 2 L.
abito di donna 24 a 55 L. tavola 6 a 25 L.
bavelotto 14 a 17 L. tavolino 3 a 12 L.
bianchetta-camisola 3 a 7 L. cuna 4 a 10 L.
bigarolo 2 a 3 L. caldera 42 a 64 L.
braghe 1 a 4 L. calderolo 26 a 34 L.
busto 5 a 12 L. padella di ferro 2 a 4 L.
calze 2 a 4 L. padella di rame 4 a 7 L.
camicia 4 a 12 L. perollo 5 a 10 L.
colletto 1 a 2 L. pignata 4 a 15 L.
fazzolo 2 a 10 L. ramina 5 a 10 L.
cappa-ferarolo-tabarro 12 a 28 L. stegnato 6 a 13 L.
ghirone 7 a 25 L. bacile d’ottone 4 a 8 L.
pedagno 8 a 32 L. barile 1 a 2 L.
sarza 20 a 40 L. tina tra 10 e 12 br. (700-850 l.) 28 a 43 L.
scarpe, paio 4 a 7 L. vasello tra 2 e 5 br. (140-350 l.) 14 a 23 L.
scossalo 2 a 7 L. vasello tra 6 e 12 br. (420-850 l.) 22 a 48 L.
sendale 13 a 20 L. bilancia 6 a 18 L.
sottana-sottanino 9 a 24 L. cassa dall’acqua < 1 L.
velata 6 a 15 L. catena da fuoco 2 a 4 L.
vesta 20 a 50 L. lume < 1 L.
scaldaletto di rame 5 a 8 L. ola da olio 1 a 3 L.
sedella 9 a 12 L.

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Robert L. Invernizzi, con l’aiuto di Anna Rita Meschini e Zaccheo Moscheni.

Aprile 2021

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Rogiti notarili spogliati (Archivio di Stato di Bergamo)

1562 / 128 – Notaio Gio. Giacomo Moscheni-Zanuchini, filza 1722, nº 163, il 26 maggio 1562, in Fuipiano, inventario dei beni di Tomaso f.q. Pietro Galli de Locatellis.

1563 / 127 – nº 383, il 6 gennaio 1563, Coegia in Locatello, inventario dell’eredità del q. Gio. Maria Borella.

1565 / 131 – nº 288, anno 1565, inventario dei beni del q. Gabriele Parthi de Manzoni per Cipriano e Gio. Pietro suoi figli, di Selino.

1571 / 129 – Notaio Gio. Giacomo Moscheni-Zanuchini, filza 1726, nº 135, il 20 giugno 1571, in Regorda-Corna, inventario degli Gio. Antonio e Gennaro fratelli, f.q. eredi minori del q. Gio. Antonio olim Gio. Corona de Invernicis.

1577 / 114 – Notaio Eustachio Arrigoni, filza 2742, nº 323, il 26 settembre 1577, in Camozzo de Mazzoleni, inventario dei beni del q. Silvestro f.q. Alexi Antonio Grossi de Mazzoleni

1586 / 124 – Notaio Gio. Giacomo Moscheni-Zanuchini, f. 1731, nº 183, il 15 luglio 1586, in Camozzo, Mazzoleni, assegnazione-inventario, beni di Gio. Pietro f.q. Battista Bachaini de Mazzoleni.

1587 / 130 – Notaio Gio. Giacomo Moscheni-Zanuchini, f. 1732, nº 51, il 2 aprile 1587, in Bergamo, divisione tra parenti Carminati-Imania di Locatello.

1624 / 125 – Notaio Gio. Giacomo Moscheni-Zanuchini, f. 4222, nº 3, il 25 gennaio 1624, in Camozzo, Mazzoleni, inventario dei beni dell’eredità del q. Pietro f.q. Antonio Magnano de Mazzoleni.

1629 / 126 – Notaio Gio. Giacomo Moscheni-Zanuchini, filza 4223, nº 102, il 24 marzo 1629, in Chignolo, Rota Dentro, inventario dell’eredità del q. Giuseppe Locarini.

1670 / 145 – Notaio Giovanni Antonio Farina-Manzoni, filza 4134, nº 9, il 8 maggio 1670, inventario dei beni del defunto Reverendo Carlo f.q. Francesco Quarenghi di Rota Fuori.

1683 / 132 – Notaio Antonio Rota, filza 7630, nº 37, il 11 maggio 1683, in Caguarinone di Rota Fuori, inventario dei beni della q. Margherita vedova del q. Andrea Rota.

1686 / 153 – Notaio Antonio Gervasoni, filza 6043, il 23 marzo 1689, inventario per il matrimonio tra Giovanna figlia di Gio. Locatelli di Corna e Pasqualino f.q. Bartolomeo Frosio Roncalli, inventario del 1686.

1693 / 152 – Notaio Francesco Moscheni, filza 5338, il 3 gennaio 1693, stima dei beni di Lucia moglie di Tomaso q. Lorenzo Frosio Roncalli di Cà Camerata di Mazzoleni.

1699 / 154 – Notaio Francesco Rota de Chiarelli, filza 6731, nº 188, il 25 novembre 1704, in Sant’Omobono, contratto di matrimonio tra Bartolomeo f.q. Bartolomeo Frosio Roncalli di Selino e Caterina Mazzoleni de Ferracini. Inventario del 1699.

1699 / 141 – Notaio Francesco Moscheni, filza 5385, nº 6, il 10 gennaio 1699, in Rota Fuori, divisione dei fratelli Pelaratti di Caguaccio.

1699 / 134 – Notaio Bartolomeo Frosio-Roncalli, Il 25 novembre 1699, in Selino, inventario dei beni del q. Bartolomeo Frosio-Roncalli in Capignoli.

1703 / 143 – Notaio Francesco Moscheni, filza 5386, nº 45, il 26 giugno 1703, inventario dei beni del defunto Marcantonio f.q. Tomaso Milesi di Razoli in Selino.

1705 / 119 – Notaio Antonio Gervasoni, filza 6046, il 28 maggio 1705, in Caprospero di Locatello, inventario dei beni consegnati per il matrimonio di Laura Arrigoni moglie Berizzi.

1706 / 109 – ASBg – Collegio notarile nº 25-26, nº 92 il 3 agosto 1706, inventario dei beni lasciati da Gio. Antonio Quarenghi al figlio Francesco di Rota Fuori.

1707 / 112 – Notaio Antonio Gervasoni, filza 6050, il 15 settembre 1724, beni dotali (corredo) lasciati l’anno 1707 a Gio. Pietro f.q. Gio. Morando Berizzi di Corna.

1707 / 146 – Notaio Marsilio Rete-Roncalli, filza 7806, 20 gennaio 1707, inventario e divisione tra i fratelli figli del q. Giuseppe Locatelli detto David di Fuipiano.

1707 / 136 – Notaio Antonio Gervasoni, filza 6046, il 7 settembre 1707. Emancipazione dei figli di Carlo f.q. Maffeo Rodeschini di Locatello.

1711 / 107 – Notaio Francesco Rota-Chiarelli, filza 6732, il 20 febbraio 1711, in Mazzoleni, separazione dei figli di Cristoforo q. Antonio Vanoli.

1717 / 120 – Notaio Antonio Gervasoni, filza 6048, il 5 marzo 1717, inventario del corredo di Lucia figlia di Marcantonio Berizzi di Locatello, moglie Rota.

1721 / 108 – Notaio Francesco Rota de Chiarellis, filza 6735, nº 92, il 26 giugno 1721, inventario dei beni lasciati dal q. Giacomo Pasqualino Mazzucotelli di Corna.

1722 / 105 – Notaio Francesco Quarenghi, il 24 marzo 1722, inventario e divisione dei fratelli e figli del q. Giuseppe f.q. Gio. Angelo Tondini di Rota Dentro.

1725 / 117 – Notaio Francesco Rota de Chiarellis, filza 6735, nº 53, il 6 settembre 1725, in Corna – Regorda, inventario dei beni del fu Pietro olim Gio. Morando Berizzi.

1729 / 137 – Notaio Francesco Quarenghi, il 27 maggio 1729, in Rota Fuori, incanti dei beni dell’eredità del q. Gennaro Quarenghi.

1730 / 139 – Notaio Francesco Quarenghi, il 19 febbraio 1734, inventario del 17 gennaio 1730, corredo dei beni in dote di Caterina Pelaratti figlia di Francesco, moglie Bugada.

1732 / 140 – Notaio Francesco Quarenghi, filza 8201, il 4 marzo 1732, in Rota Fuori, divisione dei beni di Carlo Pelaratti.

1736 / 162 – il 16 aprile 1736, matrimonio tra Flaminia figlia di Giuseppe Berizzi e Bartolomeo figlio di Domenico Manzoni, in Locatello inventario del 25 gennaio 1734.

1737 / 110 – Notaio Francesco Manini de Personeni, filza 8023, il 4 maggio 1737, in Capiretti di Mazzoleni, inventario dei beni del q. Francesco q. Carlo Salvi.

1738 / 115 – Notaio Giuseppe Gervasoni, filza 11006, il 2 novembre 1741, in Corna, inventario del 1738 del corredo di Anna Maria f.q. Pietro Berizzi, moglie Frosio-Roncalli.

1739 / 138 – Notaio Francesco Quarenghi, il 13 gennaio 1739, in Rota Fuori inventario dei beni, corredo di Giacoma figlia di Francesco Pelaratti, moglie Beloli.

1740 / 142 – Notaio Antonio Rota, filza 7610, nº 50, il 15 aprile 1740, in Careffi di Sopra di Valsecca, inventario dei beni del fu Martino Moscheni.

1740 / 113 – Notaio Francesco Quarenghi, il 6 maggio 1740, in Rota Fuori, inventario dei beni dotali (corredo) per il matrimonio di Gio. Giacomo Quarenghi e Orsola Rota (genitori dell’architetto Giacomo).

1740 / 149 – Notaio Bartolomeo Perniceni, filza 8372, il 17 novembre 1740, divisione dei beni nella famiglia Invernizzi di Pagafone in Fuipiano, inventario del 22 giugno 1740.

1743 / 155 – Notaio Bartolomeo Perniceni, filza 8372, il 29 luglio 1743, bilancio-divisione-inventari tra fratelli figli del fu Bernardino Frosio Roncalli di Cepino.

1745 / 135 – Notaio Francesco Quarenghi, il 23 marzo 1745, casa parrocchiale sotto il campanile di Rota Fuori, inventario del q. Rev. Martino Rota.

1746 / 101 – Notaio Francesco Quarenghi, il 24 maggio 1746, in Capizoli di Valsecca, inventario dei beni di Pietro f.q. Gasparo Todeschini.

1746 / 102 – Il 6 luglio 1746, in Pagafone di Fuipiano, inventario dei beni di M. Lucia Berizzi, moglie di Ottavio Frosio-Roncalli di Cepino.

1752 / 103 – Notaio Francesco Quarenghi, il 10 marzo 1752, alla Torre di Rota Fuori, emancipazione e divisione dei fratelli, figli di Francesco f.q. Gio. Battista Rota.

1761 / 147 – Notaio Giuseppe Gervasoni, filza 11009, il 12 febbraio 1761, in Corna, divisione e inventario tra i fratelli f.q. Giovanni Locatelli olim Tomaso di Brancilione.

1763 / 111 – Notaio Gio. Maria Bugada. Il 3 gennaio 1763, in Cabertaglio di Rota Fuori, inventario per divisione dei beni del q. Giuseppe olim Alberto Quarenghi.

1765 / 106 – Notaio Gio. Maria Bugada. Nº 97, il 18 luglio 1765, in Cabertaglio di Rota Fuori, inventario dei beni del q. dottor Giuseppe Quarenghi.

1782 / 104 – Notaio Bernardo Dolfini, filza nº 9646, il 22 novembre 1782, inventario-divisione dei beni di Giuseppe Maria f.q. Giuseppe M. Tondini di Rota Dentro.

1792 / 148 – Notaio Carlo Domenico Locatelli, filza 11712, il 28 dicembre 1792, divisione e assegnazione agli figli da Martino f.q. Giuseppe Locarini di Locatello in Cativanome.

1542 / 156 – Notaio Alberto Battista Arrigoni, filza 2113, 1542, inventario dei beni di Angelo f.q. Luchino Cobelino de Pellegrini, cittadino di Bergamo, abitando Capellegrini di Bedulita, con data: 1527.

1591 / 157 – Notaio Giovanni Moscheni Zanuchini, filza 3417, nº 65, il 27 febbraio 1591, beni dotali di Marsilia f.q. Gio. Pietro Mazzoleni di Cà Berghè in Sant’Omobono.

1596 / 158 – Notaio Giovanni Moscheni Zanuchini, filza 3417, nº 114, il 16 ottobre 1596, testamento di Gio. Antonio f.q. Francesco olim Antonio Mirabelli de Moscheni.

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[1] Voc. Angelini: Marsina, camisula, zipò, corpet. Farsetto, vestimento del busto come giubbone o camiciuola.

[2] Poco utilizzato, nel Cinquecento. Voc. Angelini: Casacca: vestimento che copre il busto, come il giubbone, ma ha di più i quarti. Voc. Tiraboschi: Casachì, abito di donna, giubba.

[3] Voc. Tiraboschi: V.T.: Elada o Velada, Marsina, Frac. Giubba, falda, abito di conversazione e con nomi generici dicessi anche abito, vestito.

[4] Voc. Tiraboschi: Quella parte della vesta della donna che prende dalle spalle ai fianchi.

[5] Detto Zipone, zippa, ziponcello. Voc. Angelini: Zipò. Giubbone, veste stretta che copre il busto alla quale s’allacciano le calze e i calzoni – Gipa, giubba, vesta cosi da uomo come da donna per tener sotto. / Voc. Tiraboschi: Zipù, giubbone o giuppone

[6] Voc. Angelini: Bavela o straza, bava, bavella, si dice a quella seta, che non avere nerbo non può filarsi, e però si straccia. / Strus. Gusvi. Recog. Spelaia. Galete buse. Filaticcio, drappo che si fa col filo delle robe di seta, che qui in bergamasca favella si chiama: baveli, bavelot; capizola, spuli, ferandina…

[7] Sargia. Voc. Angelini: Saìa, sarza, saeta, spezie di panno lano, sottile e leggieri. La sarza non è soltanto un tipo di tessuto, il termine viene anche utilizzato per descrivere un capo, che sembrerebbe una gonna.

[8] Voc. Tiraboschi: Fassol nella v. Imagna si dice: panèt, fazzoletto o fazzolo, fassòl del nàs, del co, del còl, del sùdùr.

[9] Voc. Tiraboschi: Ghirù, sottana, gonnella, sorta di vestimento di panno lano, senza vita e che portasi dalle donne sotto il vestito.

[10] Voc.Angelini: Mezelà. Mezzolana. Pannus lino / Voc.Tiraboschi: Mezzalà e Mezzelà. Mezzalana. Mesalà: Sorta di panno fatto di lana e di lino, che dicessi anche Accellana, quasi accia e lana. / Voc. Zappettini: Mezalà, mezzalana. Sorta di stoffa fatta di lana e di lino

[11] Voc. Tiraboschi: Sotana, veste nota da donna. Sotanì. Sottanello, cintino. Veste corta che si porta dalle donne di sotto e copre dalla cintola in giù. / Voc.Angelini: Sotanì. Ghirò. Sottano. Vesta che si porta sotto a quella, che si tien di sopra.

[12] Voc. Angelini: Pedagn. Traversa, gonna, veste e abito femminile per lo più – Pedagnet. Gonnelletta, gonnelluccia / Voc. Tiraboschi: Sottana, quella parte del vestito donnesco che è cucita alla vita, o tutta du un pezzo con essa, e che dalla cucitura in giù cinge, senza stringere tutta la persona. / Voc. Zappettini: gonna, sottana, vestimento da donna che dalla cintura scende alla calcagna. Veste che portano le donne dalla cintura ai piedi sopra o sotto altre vesti.

[13] Bucherame.

[14] Voc. Angelini: Bigarùl, scosal, scosalina, grembiule, pezzo di panno lino e altra materia che pende infino in su i piedi. / Voc. Tiraboschi: scossàl, grembiale e grembiule.

[15] Voc. Angelini: Cambraia. Tela di Cambraii, tela bissina. / Cambrai città del nord della Francia, nota nel Medioevo per i suoi tessuti, pizzi e merletti.

[16] Voc. Angelini: Frerùl. Tabar. Tabarro, mantello. Spezie di vestimento per lo più con bavero e senza maniche, che si porta sopra gli altri panni. / Voc. Tiraboschi: Freròl. Ferrajolo. Mantello semplice con collare, che si chiama bavero.

[17] Voc. Angelini: Cibra. Pianella, calzamento di cuoio, che non ha calcagno.

[18] Voc. Angelini: Schifia o breta. Copertura del capo fatta di panno lino, la quale si lega con due cordelline. / Voc. Tiraboschi: Scöfia. Cuffia o scuffia e anticamente cresta. Scöfù. Cuffietta, cuffina, piccola cuffia per bambini.

[19] Voc. Angelini: Fazolet da nas, da sofias…

[20] Voc. Tiraboschi: Maneghète, due mezze maniche di panno lino o d’altro tessuto semplice o ricamato, le quali le donne sogliono portare per ornamento.

[21] Voc. Tiraboschi: Pitürina. Pettorina, pezzo triangolare, impuntino e fortemente orlato, che colla punta all’ingiù ponesi sul petto sotto il busto.

[22] Voc. Angelini: Zandal, velo grande, zendado sposereccio. Zandali a foza de schifia: velo piccolo, cuffia.

[23] Voc. Angelini: Pirò-pirù, piccolo strumento di metallo con due o più rebbi.

[24] Numerose pubblicazione si accordano per determinare l’uso comune della forchetta alla fine del Settecento.

[25] Voc. Tiraboschi: Pignata. Pignèta. Pignetì. Pignetina. Pentola, vaso di rame per cuocervi carne e minestra. – Pignetù. Pentolone.

[26] Voc. Angelini: Bernaz, paletta che s’adopera nel focolare – Moietta, molle, strumento di ferro per rattizzare il fuoco.

[27] Voc. Angelini: Brondonai, ferramenti che si tengon per tener sospese le legne / Voc. Tiraboschi: Brandenai – bordonàl-bordunàl, alare, arnese di ferro con ornamenti di ottone, bronzo, che si tiene nel camino per tenere sospesa la legna.

[28] Arte minore bergamasca. Luigi Angelini (1884-1969) – Bergamo 1974.

[29] Voc. Angelini: Tila di canet o canevaz o canevata. Canavaccio. Sorta di panno lino grosso e ruvido.

[30] Voc. Angelini: Bolsò. Bolsone. Saetta armata di capocchia che si tira con la balestra.