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Spoglio e trascrizione del primo registro dei battesimi di Rota d’Imagna

 

1563 radicis nostrae

 

Un particolare ringraziamento a Marcello Imberti e all’amico Aquilino Rota responsabile dell’Archivio Parrocchiale di Rota che con il loro impegno hanno reso possibile questo grande risultato.

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Abbreviazioni utilizzate:

ASB: Archivio di Stato di Bergamo

BCM: Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo

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Prefazione

    Le nuove generazioni dell’oggi possono essere definite contemporanee del loro tempo. Non hanno confidenza col passato perché sono immerse nel mondo virtuale, in un tempo istantaneo, che rende tutto presente e non lascia spazio a chi è venuto prima. Ma forse è vero anche per le    generazioni degli adulti odierni. Sembrano essersi dimenticati del passato, hanno poca memoria delle vicende della loro vita e della vita del mondo.  Hanno dimenticato e non raccontano più le storie, la storia. O forse gli adulti non sono più convinti che serva a qualcosa e tantomeno ai giovani narrare gli avvenimenti del passato.

Tra il 55 e il 54 a.C. un intellettuale romano (come diremmo oggi) di nome Cicerone scrisse un’opera dal De Oratore (Cicerone, De Oratore, II, 9, 36) nella quale si trova una frase che ha racchiuso per due millenni un insegnamento immortale.   La   frase   è   la   seguente: ‘Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis’, La storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità. La frase è stata poi sintetizzata nel magistrale aforisma ‘Historia magistra vitae’, la storia è maestra di vita. La storia ci sintonizza con il passato per capire da dove veniamo; ci radica nel presente per capire chi siamo e qual è il nostro ruolo nella società; ci orienta nel futuro per capire cosa dovremo fare. La storia ci permette di capire che l’uomo di oggi non è un essere separato dall’uomo di ieri e di domani, perché il presente è il frutto del passato e il seme del futuro. La storia non distribuisce colpe o meriti, ma ci consente di scoprire le esperienze costruttive del dna storico. Con la caduta dei regimi per esempio le statue che rappresentavano i dittatori     vennero abbattute nel tentativo di cancellare un’epoca. Non è cancellando che si impara dalla storia, ma narrandola, affermando ciò che di valido c’è stato, impegnandosi a non ripetere lo stesso errore.

Quando nella storia si citano date e nomi non si compie una fredda azione bibliografica. Numeri e parole racchiudono la vita di quelle persone, le loro ansie, le loro scelte, le caratteristiche della loro esistenza e della società nella quale hanno vissuto. Il recupero del registro parrocchiale intitolato ‘1563’ è   un’atto di umanità: dentro quei nomi e quelle date ci sono la vita serena e sofferta, faticosa e buona, drammatica e dura, religiosa e pia, di padri, madri, figli, nostri antenati. Ringrazio lo storico Robert Invernizzi e il suo collaboratore Marcello Imberti. Sono riconoscente a Aquilino Rota, responsabile del prezioso archivio parrocchiale di Rota d’Imagna, per la competenza e la passione nell’essere custode della storia di tante vite raccontate dai manoscritti lì conservati. Chi si impegna nella ricerca storica è un uomo generoso, si mette al servizio dei suoi simili, e ciò che lo differenzia dal vivere in maniera anonima è la consapevolezza di arricchire la comunità di un’eredità non economica, ma esistenziale. Il suo intervento può contribuire al miglioramento della società, ai giovani e alle generazioni future. Chi si dedica alla storia sviluppa una capacità di previsione per il futuro, non restringe la visione del futuro alla propria vita individuale, ma considera anche quella delle persone con le quali vive.

Don Ermanno Meni, parroco di Rota d’Imagna

 

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Una visione globale delle famiglie di Rota, che qualificheremo come le più antiche, ci è tratteggiata in un documento del 1472, vero anche che esistono numerosi altri materiali, più remoti, del secolo XIV, che citano però singoli individui. Quello che presentiamo, è reso speciale dal fatto di essere una riunione dei capi di famiglia di Rota, probabilmente non ci sono tutti, ma rappresenta, per lo meno, i due terzi delle famiglie.Si tratta di un periodo in cui mancano i notai: in alta valle Imagna, in quell’anno 1472, il notaio Tonolo figlio di Teutaldo Rota[1] della valle San Martino deve oltrepassare i monti per venire ad assistere i valdimagnini per le loro formalità aministrative, in una lunga serie d’atti concernenti la valle Imagna.

Il 16 marzo 1472 sono riuniti i vicini di Rota in contrada Caboli, sulla via pubblica davanti alla casa di Gasparino Zabelli. Sono i seguenti capi di famiglia:                                                                      Antonio detto Gionus f.q. Antonio detto Ligeri de Rota, Maffeo f.q. Antonio detto Mazacani de Rota, Zanni suo nipote f.q. Giovanni Maria Mazacani de Rota, Giacomino f.q. Filippo Guarini de Rota, Cristoforo f.q. Filippo de Via de Rota, Vitali figlio di Tonolo Palazini de Rota, uomini della medesima parentela de Rota.                                                                                                                                            Giovanni f.q. Vitali detto Pertuso de Moscheni, Guelmo detto Carolo f.q. Fachini detto Muschini de Moscheni, Vitali detto Mirabello f.q. Bertrame de Moscheni, Giovanni detto Belosa f.q. Crizi de Moscheni, Crizi f.q. Giovannino Antonio Magoldi de Moscheni, Guelmino figlio di Alberto detto Pizardi de Moscheni, Bonomi f.q. Bertrame de Moscheni, uomini della parentela de Moscheni.                          Giovanni f.q. Vincenzo de Raselli de Bolis, Bertrame e Guelmino detti Berizini fratelli f.q. Antonio detto Berizzi de Bolis, Maffeo f.q. Pietro Veschere de Bolis, Lorenzo f.q. Pietro Veschere de Bolis, uomini della parentela de Bolis.                                                                                                  Bertrame figlio di Alberto detto Bertole de Quarenghi, Antonio detto Rinelli figlio di Tonolo detto Ferini de Quarenghi, Maffeo f.q. Antonio detto Salvini de Quarenghi, Giovanni f.q. Tonalli de Quarenghi, Pietro figlio di Zanni detto Vigne de Quarenghi, uomini della parentela de Quarenghi.

L’eccezionalità di questo documento è la distinzione fatta dal notaio, considerando che sono quattro le famiglie, ceppi della popolazione del paese, e cioè, i Rota, i Moscheni, i Bolis e i Quarenghi, almeno così la vedevano gli abitanti di Rota di quell’epoca.

I secoli passano, i soprannomi si trasmettano di generazione in generazione, ci sono variazioni, appaiono nuovi appellativi relativi a qualche particolarità d’un individuo: una sua caratteristica fisica, un suo mestiere, un suo luogo di vita o un aspetto del suo carattere. Nel quotidiano dei nostri antenati, quello che consideriamo oggi come cognome, non era utilizzato, o cosi poco, come  vedremo nelle pagine seguenti, così che, alla fine del Cinquecento, i preti fanno fatica a segnare il patronimico nella registrazione dei battesimi, e soltanto negli atti ufficiali, quelli notarili, il nome del ceppo originale è una costante, ed il riferimento al nome della famiglia, come l’intendiamo alla nostra epoca, sarà generalizzato solo nel secolo XVII.

Dobbiamo anche considerare l’uso fatto di questi cognomi, (Rota, Moscheni, Bolis e Quarenghi), parliamo del Quattrocento, epoca di questo primo atto notarile citato, che rappresenta una referenza geografica, economica e anche politica. I Rota furono commercianti, ma si sono distinti come avversari del potere visconteo, i Bolis abili artigiani nello sfruttamento dell’energia idraulica: mugnai o tintori, i Quarenghi più conosciuti come intellettuali: notai, preti, ma anche per il loro lavoro del legno come tornitori, i Moscheni, loro furono maestri nella lavorazione del ferro. Dunque fuori della valle, nella sfera bergamasca, quando un valdimagnino si nominava, ad esempio: sono Maffeo Veschere de Bolis era immediatamente riconosciuto e situato geograficamente, socialmente, economicamente e talvolta, … anche politicamente! Per illustrare quest’ultimo argomento, il caso dei Locatelli è particolarmente significativo. Parliamo sempre del periodo tra XV° e XVII° secolo, e le famiglie con quest’appellativo, sono geograficamente ed unicamente concentrate nelle parrocchie di Fuipiano, Locatello, Corna, Selino e Berbenno, comuni limitrofi, sulla sponda sinistra dell’Imagna. Al di là delle affinità di parentela, o legami di sangue  tra i Locatelli[2], gli antichi ghibellini erano considerati come sostenitori di Milano, dunque avversari della Serenissima e, dopo la conquista del territorio bergamasco, (1428), da parte della Repubblica Veneta, subiranno vessazioni e segregazioni dal nuovo potere, ma furono soprattutto socialmente ignorati ed isolati dai loro vicini valligiani stessi. L’appellativo Locatelli aveva secondo noi, prima di diventare una referenza anagrafica, un significato clanico e quest’impronta politico-sociale durerà secoli prima di offuscarsi.

Gli archivi parrocchiali sono le fonti principali di testimonianza sul nostro passato e sono la memoria della storia locale, a volte, l’unica documentazione disponibile sulla presenza di certe famiglie. Prima del Concilio di Trento[3] la registrazione dei battesimi era variabile a seconda dei luoghi.  La diocesi di Bergamo, conta 40 casi di registrazioni pretridentine, il registro di Rota, che abbiamo studiato, (scopo di questa ricerca), è uno di quelli. L’archivio parrocchiale di Rota contiene varie fonti documentarie eccezionali, miniera senza fondo d’informazioni, la principale è anagrafica e demografica. Ma oltre ai libri canonici, troviamo la documentazione relativa al patrimonio della parrocchia, all’attività caritativa: opere pie, confraternite, ma anche riferita al patrimonio artistico e culturale del paese.

Il primo registro dei battesimi di Rota, ha la singolarità di essere il più antico dei libri parrocchiali della valle[4] giunto fino a noi, in uno stato di conservazione relativamente buono. Ma al di là dell’antichità del volume, ed oltre l’aspetto religioso del documento, abbiamo lì una parte della storia di questo paese: rappresenta il ricordo della nostra gente. Non è soltanto un elenco di neonati che entrano nel mondo cristiano, ma simbolizza anche un anello tra le generazioni, un pezzo di vita in un’epoca difficile.                                                                                                                                                         Il sedicesimo secolo fu una successione di carestie ed epidemie, forse la valle fu risparmiata da qualche contagio dalla sua posizione geografica defilata, però la qualità e la topografia dei suoi suoli, non l’ha avvantaggiata per quanto concerne l’alimentazione della sua popolazione, (l’agricoltura in valle fu sempre considerata di debole rendimento), basti rileggere quella che consideriamo come “la Bibbia” per la descrizione della bergamasca fatta per questa epoca: Descrizione di Bergamo e suo territorio, 1596[5] scritta dal Capitano di Bergamo Giovanni da Lezze: siamo in piena concordanza, per la tempistica relativa alla redazione, (1563-1611), con il nostro registro dei battesimi.

Questi nostri paesani non ce la fanno, quasi tutte le famiglie sono indebitate, gran parte degli uomini devono partire per trovare altrove i mezzi di sussistenza, tante delle loro donne muoiono dopo il parto, le morti si succedano alle nascite in rapida successione: c’è una mortalità infantile disastrosa. Dopo la lettura della descrizione fatta dal da Lezze, il lettore troverà le nostre diatribe esagerate o superflue, ma, purtroppo, il quadro generale fu quello: l’ultimo decennio del secolo fu particolarmente pesante, il granoturco[6] non era ancora stato introdotto nella bergamasca, l’alimento – che diventerà un’alternativa conveniente ed indispensabile per il mondo contadino – arriverà solo all’inizio nel secolo seguente. L’allevamento, (con suoi derivati tessili), e lo sfruttamento dei boschi, sono essenziali nell’economia locale. Ci sono alcune famiglie della valle che già da tempo sono in città, arricchiti nel negozio dei pannilani, come i Cassotti, i Petrobelli, i Grassi ed altri che commerciano in tutta l’Italia, ci sono anche quelle rimaste sul posto come i Daina, Rota, Manini, Quarenghi, Zanucchini, famiglie benestanti, possiamo affermare, senza entrare in un “conflitto di classe”, che globalmente l’agiatezza di questi, riposa sulla dominazione economica del restante della popolazione.

Questa situazione economica spiega, in parte, la mancanza di preti[7] nelle parrocchie della valle, le vacanze alla cura di Rota sono osservabili nei buchi, percepibili nella registrazione dei battesimi, il primo, tra agosto 1577 e agosto 1578, il secondo, tra marzo 1581 e agosto 1582, un terzo, tra agosto 1594 e marzo 1596[8], poi, constatiamo nuove mancanze per gli anni 1599 e 1600: ci sono solo due battesimi segnati. Anni difficili si riscontrano alla fine del registro, in quattro anni, (1608-1611), sono annotati appena 14 battezzati.

Nel periodo di redazione del registro, cioè 50 anni, si sono succeduti per lo meno 10 preti, ognuno di loro con il suo modo particolare di compilare il registro, in un’epoca in cui il patronimico, come l’abbiamo descritto precedentamente, era un concetto astratto, spesso non c’è il cognome[9] del battezzato, a volte solo un soprannome o il nome della contrada. Scritture maldestre, ortografie approssimative complicano il decifrato e, dunque, la ricostruzione delle famiglie fu un’impresa ardua.

 Identificazione delle persone e delle famiglie

Un primo criterio, da prendere in considerazione, è la definizione del cognome da differenziare dal soprannome. Nell’epoca posteriore al registro studiato, cioè il Seicento e secoli seguenti, come oggi, consideriamo come cognome il patronimico che si trasmette tra le successive e future generazioni. Certi soprannomi sono diventati cognomi, come: Tondini, Schiantarelli, Vanalli, Baracchi, Berizzi, Ferrari, Galeotti, altri, come Ton, Bianco, Pertusi, anche se molto diffusi nel periodo antecedente al registro, hanno lasciato il posto al cognome “ufficiale”: ad esempio, i discendenti Ton e Pertusi, li ritroviamo con l’appellativo Moscheni e, i detti Bianco, sono nominati Bolis. Nel nostro registro sono battezzati 567 fanciulli, di questi, 383 sono identificabili con un cognome, 58 con un soprannome, 120 con il solo nome del padre e la contrada e soltanto 6 con l’unica informazione del nome del padre.

Dobbiamo considerare questo registro come composto di due parti ben distinte, di cui, la prima parte è, secondo noi, una copia realizzata da Don Francesco Mainerio[10] dei battesimi celebrati dai suoi predecessori, tra il 1563 e il 1581. Dall’inizio del libro cioè il 12 gennaio 1563 fino al 31 maggio 1577, che sarebbe il foglio n.19, la scrittura è a stampatello, ben regolare e perfettamente leggibile, sono tra i 3 e i 6 battesimi registrati per pagina, la calligrafia sembra essere stata la stessa come pure l’inchiostro utilizzato, e la copia fu fatta di getto, cosa che spiega la regolarità e l’uniformità del lavoro compiuto. Dal foglio n.20 al n.25, (fino al battesimo del 16 marzo 1581), si riconosce sempre la scrittura dell’inizio del registro, ma si capisce che le registrazioni furono realizzate poi in diversi tempi, da quel foglio n.20, anche, se la calligrafia rimane sempre la stessa, la qualità, però, diverge. Questi diversi indizi lasciano pensare che il prete, (il redattore), ha ricopiato un altro documento, l’originale, certamente rovinato o di brutta qualità. Don Mainerio scrive in basso della prima pagina, oggi in parte illeggibile, spiegando probabilmente che fu lui ad impegnarsi a questo incarico:

 Io P.te Franc° Maineri venni a far la …

  Gotardo adi 14 …

Purtroppo, il basso di questo primo foglio, sporcato e disgregato da centinaia di dita che hanno manipolato il manoscritto nel corso dei cinque secoli trascorsi, ha l’angolo destro in parte danneggiato.

Sul verso del foglio n.25, figura un ultimo battesimo (secondo noi sempre ricopiato da Don Mainerio), quello di Lucia Zanayno e subito sotto, Don Mainerio scrive di nuovo: Io P.te Franc° Maineri da Urg°. venni a Ruota p.(er) curato adi 14 ottob° del 1606[11].

Dalla pagina n.26r alla 32v, anche lì l’uniformità e la regolarità della scrittura, lasciano pensare che fu ricopiata ulteriormente, che i battesimi non furono registrati ognuno il giorno della celebrazione, però la calligrafia non sembra quella di Don Mainerio. Possiamo immaginare che il prete segnasse su qualche bigliettino i battesimi celebrati, poi, ogni tanto, si prendesse il tempo, con calma, di trascriverli sul registro ufficiale.

Don Mainerio, nel piccolo mondo rurale della valle, in questo piccolo paese, quale era Rota, appare come una personalità eccezionale: aveva la qualifica di secondo notaio e lo ritroviamo, per un certo periodo, (circa 1604-1607), accanto al notaio Francesco Quarenghi[12]: la sua presenza è attestata dalla controfirma di numerosi atti notarili.

Cronologia dei parroci di Rota nel periodo di compilazione del registro:

 Sala Guglielmo[13] parroco nel 1561/1575

Amirati Nicola[14] parroco nel 1582/1588

Orio Raffaele frate, parroco nel 1589

Vinizzoni Flaminio 1590

Camozzi Antonio[15] parroco nel 1591/1592

Girandi Enrico[16] parroco nel 1592/1593

Viviani Cesare[17] parroco nel 1594/1599

Mainerio Francesco parroco nel 1601/1608

Penna Michele parroco nel 1608

Giovanni Battista Rota[18] curato di Valsecca 1610/1611

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Il volume studiato è etichettato “2 – Rota F – BA 1563 . 1625 – CR 1579.08.17”, le sue dimensioni sono di 20,5 cm per 15 di larghezza, la copertina più recente è di cartone di un colore marmorato rosso e bianco, la rilegatura reca numerose tracce di restauri, con rinforzi di carta bianca incollati alla giunzione degli fogli. Sulla prima di copertura è scritto “bat”, sulla seconda di copertura si legge “Battesimi 1563 al 1625”. I fogli sono numerati in alto a destra, unicamente sul recto. L’ultima pagina sarebbe la numero 111, ma gli angoli degli ultimi fogli sono parzialmente disgregati ed illegibili. I battesimi, segnati in modo convenzionale, sono registrati fino alla pagina 59r; l’ultimo annotato è del 22 settembre 1611 sotto il quale è scritto la parola Finis.

Seguono pagine bianche fino alla n.78r dove è segnato il battesimo di Giovanni Cristoforo figlio di Gio. Andrea Tondini e di Apollonia, celebrato il 11 gennaio 1649, il luogo non è comprensibile, ma in un altro Stato. Poi, arriviamo alle pagine 81r a 82v, dove sono registrate le cresime di 44 figlioli di Rota del 17 agosto 1579, celebrate da Monsignor Gerolamo Regazzoni vescovo di Bergamo. Altre pagine vergini, e saltiamo alla pagina 109r dove sono annotazioni di contabilità dell’anno 1607, sulla pagina seguente, sono elencate le messe celebrate negli anni 1606-1607 per il legato Gajardelli. Sul verso del foglio leggiamo: Adi 21 Magio 1591 fu sepolto m. Andrea Tondino seguito da un nuovo elenco di messe, per gli anni 1605-1607, celebrate per il legato del q.da. Gasparo … Infine arriviamo all’ultimo foglio (111) piuttosto consunto e di lettura molto difficile, altra contabilità, incomprensibile, con l’elenco di messe celebrate, sui due lati del foglio.

Un primo cambiamento, nel modo di redigere, si nota nell’ottobre 1575: fino a settembre di quell’anno, il prete registra unicamente la data del battesimo. Il 9 di ottobre inizia l’annotazione della data di nascita, e ciò non per caso, corrisponde alla visita detta di San Carlo Borromeo. In realtà, l’arcivescovo di Milano non ha mai messo piede in valle Imagna, ma il suo inviato, l’abbate Ottavio Forerio, visita, in suo nome, la parrocchia di Rota il 14 ottobre 1575. Possiamo dunque pensare che il battesimo di Giovanni Maria Moratelli del 9 ottobre fu segnato nel libro parrocchiale posteriormente alla visita apostolica dell’inviato del futuro santo.

Il primo lavoro eseguito per la trascrizione di questo registro fu l’opera di Don Pietro Bugada[19], parroco di Rota Fuori, con la sua carica di vicario foraneo ha avuto accesso all’archivio parrocchiale di Rota Dentro, dove ha ritrovato il detto registro, (questo prete si è impegnato alla redazione di tre repertori alfabetici e cronologici per i battesimi, decessi e matrimoni). Nell’ultima pagina del repertorio alfabetico delle nascite ha scritto:

OSSERVAZIONI – Operazione fatta dal parroco di Rota Fuori, Pietro Bugada l’anno 1817 nel mese di novembre unde possa e lui ed i Parrochi successori sapere tutte le operazioni parrochiali fatte dai Parrochi di S.Siro e Gottardo.

Questo quinternetto è lo spoglio di un libro ritrovato nell’archivio parrochiale di S. Gottardo penso avuto ad imprestito da qualche parroco di Rota, cui compette poiché dall’1563, sino al 1611 anni che comprendono il presente quinternetto ni era solo la comune di Rota dominante anche delle contrade che ora sono di S. Gottardo, sebbene le Chiese erano due una detta S. Siro l’altra S. Gottardo…

Questa annotazione è rivelatrice della tribolazione vissuta dal nostro libretto! Forse è stato dimenticato per decenni in un armadio, spostato, ritrovato, non è stato perso o distrutto… per miracolo.

Abbiamo tentato di ritrascrivere il più fedelmente all’originale, in corsivo tale come si legge, tra parentesi, le nostre annotazioni per facilitare la comprensione del testo. Abbiamo, talvolta, aggiunto le maiuscole ai nomi propri, un punto significa un’abbreviazione come appare nell’originale, tre punti sono parole parzialmente o totalmente illeggibili.

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Trascrizione

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1563

 

[1] ASB – Archivio notarile – Filza n.390.

[2] Che possiamo considerare posteriore al loro posizionamento politico, cioè, della circostanza che, a causa , del loro isolamento, si sono sposati tra di loro.

[3] 1545-1563.

[4] Presentiamo, qui sotto, una parte degli altri archivi parrocchiali della valle, la loro consistenza e l’anno dei documenti i più antichi reperiti. Estratto da: Gli archivi parrocchiali della Diocesi di Bergamo – Censimento 1997 – Diocesi di Bergamo, Centro Culturale Nicolò Rezzara.

Bedulita: 14 buste, 115 registri, 4 mazzi – dall’anno 1615: battesimi, matrimoni cresime e morti.

Berbenno: 37 buste, 249 registri, 3 mazzi – 1641: battesimi, 1529: legati. Contiene una parte dell’archivio di Blello.

Capizzone: 16 buste, 72 registri – i battesimi dal 1816, stati delle anime dal 1776.

Cepino: lacunoso, archivio probabilmente incendiato, 35 buste, 92 registri, 1 mazzo – 1779: battesimi. Sono conservati ugualmente dei documenti riguardando il Santuario della Cornabusa: 5 buste e 15 registri dal 1850.

Corna: 26 buste, 131 registri, 4 mazzi – i battesimi dal 1638, morti e matrimoni: 1640.

Costa: 57 buste, 91 registri, 1 mazzo – i battesimi dal 1605, atti notarili dal 1656.

Fuipiano: 21 buste e 129 registri – i battesimi e matrimoni dal 1631, morti dal 1634

Locatello: 19 buste, 142 registri, 4 mazzi – i battesimi dal 1642, matrimoni dal 1682 e morti dal 1693, atti notarili dal 1548.

Rota Dentro: 8 buste, 74 registri, 15 mazzi – per i battesimi, il registro è comune con Rota Fuori dal 1563, i matrimoni dal 1626.

Rota Fuori: 23 buste, 137 registri, 43 mazzi – i battesimi dal 1563, matrimoni e morti dal 1612, Dottrina Cristiana dal 1659.

Sant’Omobono-Mazzoleni: 47 buste, 199 registri – i battesimi dal 1732, morti dal 1717, matrimoni dal 1735, legati dal 1570, Confraternita SS. Sacramento dal 1572. Possiamo aggiungere l’informazione seguente riguardando S.Omobono: nel Settecento fu eseguita una ricerca genealogica per i nobili Camerata de Mazzoleni: in queste carte il ricercatore precisa: Il libro de morti nella Chiesa di S°Homobone principia l’anno 1612, il libro de battesimi di detta Chiesa principia l’anno 1605. E’ importante sapere ciò perché oggi questi preziosi registri sono scomparsi.

Selino: 16 buste, 93 registri, 4 mazzi – i battesimi dal 1702, cresime dal 1582, morti dal 1664, matrimoni dal 1702. L’inventario della Curia, per quello che riguarda Selino, non è esatto, nel corso di una nostra ricerca abbiamo trovato in quest’archivio un registro dei battesimi, molto lacunoso, ma che inizia nell’anno 1588.

Strozza: 35 buste, 152 registri, 4 mazzi – i battesimi dal 1621, matrimoni dal 1632, benefici: 1606, cappellanie: 1605.

Valsecca: 32 buste, 88 registri, 1 mazzo – i battesimi dal 1626.

[5] Vincenzo Marchetti, Lelio Pagani – Lucchetti, 1988.

[6] Il nuovo cereale ebbe nel corso del Seicento un ruolo di primo piano nel garantire l’autosufficienza alimentare della popolazione e la scomparsa delle carestie. Andrea Zannini – L’economia veneta nel Seicento… in Società Italiana di Demografia Storica, La Popolazione nel Seicento (1999).

[7] La gran parte delle parrocchie valligiane sono mercenarie: i parrocchiani hanno il privilegio di scegliere il loro curato, ma tocca a loro di remunerarlo.

[8] C’è un solo battesimo registrato per tutto l’anno 1595.

[9] In particolare, Don Nicola Amirati, nel 1582, non vuole, scrive, il patronimico.

[10] Don Francesco Mainerio, oriundo di Urgnano, parroco di Rota nel 1601.

[11] In realtà Don Manerio segna la sua presenza, scrivendo il proprio nome numerose volte, tra il 8 gennaio 1601 e il 24 agosto 1607, però la sua scrittura è riconoscibile fino al 27 gennaio 1608. Il 30 ottobre del 1608 Don Manerio è curato di Berbenno.

[12] ASB – Archivio Notarile – Francesco fu Giovanni Schiantarelli de Quarenghi, filza n.4411.

[13] Don Guglielmo Sala, oriundo di Piacenza, parroco di Rota, nel 1575 per la visita detta di San Carlo Borromeo, è detto da 14 anni curato di Rota.

[14] Amirati Nicola oriundo di Nola, nel corso della visita di Monsignor Regazzoni, vescovo di Bergamo,  in Locatello il 16 agosto 1579 fu citato: <<… il nostro curato che credo si chiami Nicola Napolitano per quello che si può vedere si trova assai bene, non conosco in lui vizio alcuno, non ha in casa nessuna donna, insegna la dottrina cristiana…>>.

[15] Il prete Antonio Camozo o Antonio de Mozzi, anche se non è più parroco, rimane per un certo tempo a Rota e compare, nel registro, come padrino, nel 1593 e nel 1594.

[16] Don Enrico Girandis, è citato in un atto notarile del 1590, dal notaio Marcantonio Donati di Berbenno (ASB, filza n°3223) …il pbr.Henricus f.q.Mathei de Girandis Marchion… curato di S.Ant. di Berbenno.

[17] Oriundo di Pesaro.

[18] C’è un po’ di confusione con Don Giovanni Battista Rota, forse di tratta di due persone diverse, omonimi. Don Giovanni Battista Rota fu parroco di Rota Fuori nel 1624-1625, un Don Giovanni Battista Rota fu parroco di Valsecca tra dicembre 1626 e dicembre 1649, in un registro parrocchiale di Rota lui stesso scrive (anno 1624) curato di Valsecca, vice curato di Rota… Nel registro dei morti di Rota Fuori alla data 24 marzo 1650 è registrato il decesso di Don Giovanni Battista Rota, parroco di Valsecca. Nel mese di maggio 1650 Don Giovanni Battista, in un atto notarile, è detto di Mazzoleni.

[19] Nato il 23 maggio 1758 in Rota Fuori, figlio del notaio Giovanni Maria e di Francesca Cassinelli, fu parroco tra 1810 e 1832.