Giuseppe Ge [email protected]

Gli affreschi  esterni della Chiesa di San Siro a Rota Imagna

La scoperta e il restauro

La tradizione popolare, tramandata a voce da generazioni, affermava l’esistenza di dipinti con volti di santi sulla vecchia facciata della chiesa che si vedevano, almeno fino ai primi del Novecento, sotto l’attuale portico[1]. La conferma si ebbe nell’ autunno 1995, quando durante i lavori di restauro e di ripulitura della facciata si rinvenne, con grande sorpresa, parte del corpo della  vecchia chiesa ricoperta interamente di affreschi che subito apparvero databili tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500. Gli affreschi ricoperti da uno spesso strato di polvere e frammentari in più punti, furono restaurati nel Febbraio 1999 dalla ditta DeB Restauri e Decorazioni di Dino De Feudis e Marco Bresciani che provvidero a operazioni di pulitura e di fissaggio dell’intonaco permettendone la conservazione[2]. Confrontando le foto scattate al momento della scoperta nel 1995 e quelle prima del restauro del 1999, si osservano alcune caratteristiche non più visibili dopo il restauro[3] (Figura 2). In primo luogo si notava, nei punti in cui l’intonaco era caduto ed affiorava il muro dell’antica chiesa, come gli affreschi siano stati eseguiti senza il disegno preparatorio, sopra un sottile strato di intonaco steso direttamente sulla parete grezza costruita per lo più a secco con pietre locali appena sbozzate. Si nota poi, come la decorazione affrescata  si interrompe poco al disopra della cornice superiore della Madonna in trono segnando il profilo dello spiovente della copertura originaria. Infine incuriosiscono due strane aperture di forma quadrangolare poste a mezz’ altezza all’interno della scena con i tre santi. Non è chiara la loro funzione ma potrebbero essere i cardini di una porta in legno qui costruita per permettere l’accesso all’altare di San Bernardino che, secondo la descrizione del Vescovo Lippomano, si trovava a destra dell’ingresso sotto il portico.

affreschi 99

Figura 2.  Panoramica degli affreschi prima dell’intervento di restauro del 1999. (Foto gentilmente concessa da Aquilino Rota).

 La descrizione

Se osserviamo frontalmente la parete affrescata (Figura 3), a destra del portale attuale, si nota per prima una sottile linea rossa su fondo bianco che segna il profilo e suddivide lo spazio in cinque riquadri di cui quattro affrescati con figure intere mente il più basso a destra è privo di tracce di affresco. Le immagini si presentano notevolmente diverse tra loro e databili a fasi cronologiche differenti.

La parete si distingue per la presenza dell’architrave in pietra locale con elemento di sostegno a forma semicircolare che regge una piccola lunetta interamente affrescata e seminascosta dalla lesena della facciata settecentesca. Si tratta dell’antico portale rivolto a settentrione della chiesa originaria usato, verosimilmente, come ingresso principale. Partendo dal vertice più alto a sinistra al disopra dell’arco della lunetta del portale si incontrano nell’ordine

annuncazioneScena di annunciazione Un angelo in ginocchio di cui si intravedono le pieghe della veste candida e le ali di colore rosso-bruno, poggia sul pavimento di una stanza fdalle murature  rosa  tenue. Sul lato opposto, si scorge il becco di una colomba, simbolo dello Spirito Santo, che emana sottili raggi color oro e si riconosce Maria, in ginocchio, con le braccia incrociate sul petto e il busto leggermente inclinato in avanti. Per dare maggiore risalto, l’affreschista ha inserito la Vergine tra due mobili visti di scorcio: un alto ed imponente leggio, dove è posato un libro aperto, ed un sedile che anticipa nella forma il trono sul quale viene ritratta la Maestà. I colori dialogano con le figure e  creano contrasti  come il vivace rosso della veste, il viola del manto avvolto sui piedi, il verde tenue del pavimento della stanza, oppure danno vita a sottili rimandi, come le pagine bianche del libro che richiamano il bianco dell’orlo del manto della veste e dei polsi delle maniche.

Decorazione della lunetta La lunetta semicircolare, la cui visione d’insieme è fortemente disturbata dalla lesena della facciata, si compone di due parti pertinenti probabilmente a due divers purtroppo illeggibili, e tre angeli. La Madonna in trono indossa una veste blu cobalto; avvolta in un manto candido profilato di verde chiaro sorregge un Cristo fanciullo completamente nudo. Le corone gemmate sul capo della Madonna e di Cristo, la sproporzione rispetto alle figure degli angeli che appaiono più grandi, le tracce di un disegno che affiorano al disotto di Maria, permettono di collocare la scena in una fase successiva ai tre angeli. Il primo angelo a sinistra, ora semi nascosto dalla lesena, ha ali giallo ocra ed indossa una tunica color rosso bruno, imbraccia una viella, uno strumento musicale ad arco simile al violino, diffuso in molte raffigurazioni di angeli dalla metà del XV secolo alla seconda metà del XVI secolo. Del secondo angelo, posto in alto in asse con la Madonna, si nota il volto caratterizzato da grandi occhi chiari fortemente marcati e da labbra  rosse e carnose. Regge tra le mani uno striscione di cui si intravede ancora chiaramente la  lettera E  rossa  in caratteri  tardo gotici. Il terzo angelo, il più visibile, indossa una tunica marrone rimboccata sulla vita da una cintura che lascia intravedere il bianco dei polsi e del collo della camicia sottostante. Il volto, incorniciato da una folta chioma biondo-rossa, ha i medesimi occhi chiari, grandi e mercati dei precedenti. E’ intento a suonare un liuto di cui si riconosce la sagoma convessa della cassa e il tipico manico ripiegato. Le dita della mano destra stingono un plettro, mentre quelle della sinistra eseguono un accordo. L’intera scena è incorniciata da un motivo floreale che adorna l’interno della ghiera dell’arco e sullo sfondo si riconosce una pianta fortemente stilizzata con fiori a forma di croce bianchi e rossi. Alcune caratteristiche cromatiche ed esecutive fanno pensare che lo sfondo e la decorazione sia stata sovrapposta ad una precedente di cui restano ancora labili tracce sottostanti.

 Mad con bambMadonna in trono col Bambino

Su un fondale verde chiaro chiuso da un muro di cinta in rosa tenue si staglia imponente la figura di Maria  secondo la tipica raffigurazione delle Madonne dell’area Bergamasca di inizio Cinquecento: seduta in trono con Cristo benedicente in posizione eretta[4].

Lo schienale squadrato del trono, impreziosito da pinnacoli di forma geometrica e da un drappo rosso e l’alta predella accentuano le dimensioni e rendono ancora più imponente la figura. Maria indossa una veste  verde che richiama lo sfondo, sopra la quale porta un ricco mantello dorato foderato di rosso e decorato con un motivo a fiori ed arricchito da perline sull’orlo interno; un velo copre parte del capo lasciando trasparire la massa voluminosa dei capelli ricci di un rosso ramato. La mano destra sorregge il figlio mente la sinistra regge tra le dita una rosa bianca stilizzata sinonimo di castità, purezza e virtù. Cristo è ritratto in piedi, in posizione frontale, con la mano destra benedicente  mentre con la sinistra porge una sfera dorata. Tale raffigurazione molto diffusa nel Medioevo, è nota come Cristo salvatore del mondo  dove il piccolo globo tenuto nella mano sinistra rappresenta l’universo di cui è signore. L’abito indossato è quello tipico delle corti nobiliari del XVI secolo con l’orlo finale bianco impreziosito da perline. Il verde della camicia che si intravede sotto la veste e la cintura dorata richiamano i colori dell’abito di Maria, mentre il volto con grandi occhi chiari è simile al volto degli angeli della lunetta. La testa lievemente reclinata della Vergine, i grandi occhi rivolti verso il figlio, la bocca semi aperta, donano alla figura un lato umano e rompono  la frontalità e rigidità della composizione.

santoSanto benedicente Si tratta dell’immagine più enigmatica e suggestiva dell’intero ciclo: i segni del tempo e le  diverse stesure degli intonaci rendono la figura di non semplice lettura, ma ne aumentano il fascino. Il santo si distacca nettamente dallo sfondo rosso accesso, chiuso da un muro di cinta in ocra con le tipiche merlature squadrate guelfe. Due alberi simmetrici, raffigurati con un’ampia doppia chioma alludono ai giardini dell’Eden. Il santo porta il cappuccio della cocolla sul capo, indossa un’ ampia cappa  chiusa sul petto, al disotto della quale si intravedono le maniche e una veste di colore bruno scuro. La mano destra, con l’anulare e il mignolo ripiegati, è nella tipica posa del benedicente mentre la sinistra regge i libri delle sacre scritture. Il volto è il più espressivo dell’intera parete, si notano i grandi occhi dai contorni fortemente marcati, le profonde rughe delle palpebre e della fronte, i peli della barba biondo-grigia e dei capelli all’interno del cappuccio. La stesura del colore sfumato in più punti per dare un effetto di maggiore volume, è indice di una grande capacità ritrattistica, da parte di un pittore in grado di caratterizzare fortemente il suo personaggio. Anche la postura fortemente reclinata del volto che osserva i fedeli all’entrata del portale permette di cogliere una buona tecnica nella realizzazione degli scorci. Malgrado la frammentarietà dovuta ad interventi di restauro eseguiti già in epoche antiche si possono riconoscere alcuni particolari[5]: una corda che avvolge il polso della mano destra, il bordo di un libro posto sotto il braccio, il segno, appena percepibile, sulla spalla sinistra che richiama una croce a forma di T; sono particolari che permettono di identificare il santo ritratto come Sant’Antonio abate, tra i più venerati e diffusi nelle vallate alpine.

Rocco e SebSan Sebastiano, San Rocco e Sant’Antonio abate Un muro bruno con una serie di piccoli merli di tipo guelfo sovrastanti un fregio a “denti di lupo”  fa da  sfondo a tre santi rappresentati nelle loro tradizionali iconografie. Una palma e un alto albero si intravedono dal muro entro una finestra di color rosa tenue allusione ai giardini del Paradiso. I tre santi ritratti vengono spesso invocati come protettori di epidemie e di piaghe e la loro rappresentazione insieme è nota a partire dalla metà del XV secolo.  A sinistra San Sebastiano ha mani e piedi legati, il petto e le gambe mostrano il sangue che sgorga dalle ferite delle dodici frecce che trafiggono il corpo. Al centro San Rocco indossa il caratteristico abito da pellegrino con la mantellina di dimensioni ridotte posta sopra la veste con funzione protettiva del tronco e delle spalle e che da lui ha poi preso il nome di sanrocchino,  in vita si riconosce una cintura da cui pende  una bisaccia. Il santo impugna un bastone con la mano destra mentre con la sinistra mostra lo squarcio dei pantaloni dove si nota una piaga. Malgrado sia andata perduta parte della testa e del volto si possono ancora intuire le falde del tipico cappello da viaggio a larga tesa dei pellegrini. A destra Sant’Antonio abate è ritratto nella tipica iconografia: bastone nella mano destra, saio marrone, campanella stretta con una corda nella mano sinistra e la tipica croce a forma di T sulla spalla sinistra del mantello. Alcuni caratteri esecutivi, come i grandi occhi leggermente allungati, le mani molto grandi e lunghe, i piedi in primo piano, sono sicuramente attribuibili alla mano di pittore meno esperto, rispetto alle raffigurazioni del I e del II settore. Inoltre la presenza, ben visibile di uno strato di intonaco sottostante, permette di datare le immagini in una fase successiva alle precedenti attorno agli anni ’20 del Cinquecento.

 Analisi storico-artistica

 Caratteri e confronti

Il buono stato di conservazione delle figure sopra il portale e della Madonna in trono permettono di osservare alcuni particolari utili per confronti e possibili riscontri. Si nota un’impostazione semplificata e ripetitiva delle figure, in cui i contorni degli occhi e i lineamenti sono nettamente marcati, la resa dei volumi è data dalla sovrapposizione di pennellate scure e chiare sopra un colore base, la decorazione delle vesti, anche le più ripetitive come quella del manto di Maria, sono ottenute tutte a mano libera come si nota da alcune incertezze dei particolari. Si tratta di caratteristiche molto diffuse e comuni nelle raffigurazioni in particolare dell’area brembana. Il confronto più diretto si ha con gli affreschi del presbiterio della chiesa di San Ludovico al Bretto, presso Cornello del Tasso che recano la data Agosto 1504 e la firma D. de Auerara [6] In particolare si nota una stringente affinità nel disegno, nell’impostazione generale delle figure e nell’uso di colori accessi e spesso contrastanti e sorprendenti sono le similitudini tra i volti. Molto simili sono le ali, le vesti e la posizione delle dita degli angeli musicanti di Rota e quelli ritratti al Bretto; simili sono anche le decorazioni e la forma dei manti e delle vesti (Figura 5 ). Sia al Bretto che a Rota si notano i medesimi volti leggermente reclinati verso sinistra dai grandi occhi chiari e le mani grandi con lunghe dita ed impostate sullo stesso modello sono i volti della Madonna col Bambino di Rota e della Madonna del latte di Bretto Per questi motivi è possibile attribuire gli affreschi di San Siro del I e II settore alle medesime maestranze della chiesa di San Ludovico di Bretto[7]. Un gruppo di pittori veloci nell’esecuzioni che seguono la tradizione popolare, ma sanno inserire tocchi di innovazione già rinascimentali in alcuni particolari dei troni e nelle vesti elaborate. In anni di poco successivi, un altro pittore venne chiamato a dipingere o più probabilmente a ridipingere le figure dei santi del III settore e a ritoccare alcune parti del I e dal II. Si tratta di un pittore molto più schematico dei precedenti e con forti semplificazioni nella esecuzione e nella resa delle figure[8].

Autori e  datazione. Un Baschenis a Rota Imagna?

I caratteri descritti  e la firma del misterioso D de Averara di San Ludovico del Bretto fanno propendere, per l’attribuzione degli affreschi sia di Rota sia di Bretto, alla mano di un membro della famiglia Baschenis[9]. Questa dinastia di artisti originari della Valle Brembana, che conta una ventina di pittori, attivi tra la seconda metà del 1400 e per tutto il 1500 soprattutto nelle valli trentine, è stata spesso considerata dalla critica, in passato, come una produzione artigianale e priva di caratterizzazioni e differenze che rendano possibile distinguere i vari membri dei due rami in cui si divide la famiglia Baschenis di Averara[10]. Grazie agli studi condotti sui documenti e sulle opere, in particolare del Trentino, oggi è possibile, non solo ricostruire l’albero genealogico della famiglia, ma anche riconoscere alcuni caratteri esecutivi che distinguono tra loro i singoli artisti[11]. In generale l’arte dei Baschenis si riconosce nel vasto panorama delle pitture devozionali e di linguaggio popolare del bergamasco per il perpetuarsi di una iconografia ancorata allo stile miniaturistico tardogotico arricchito da elementi “moderni” specie nelle ricche vesti damascate e nell’uso di particolari e di elementi di grande naturalismo (venature del legno delle croci, gusto per il dettaglio delle vesti e della decorazione dei troni e per particolari “macabri” come il sangue delle ferite). Lo stile dei Baschenis è stato definito  un’arte legata alla cultura della Biblia pauperum: un’arte per la devozione popolare e di grande emotività e di immediata comprensione, uno stile nato e creato per le genti di montagna e che ne  rispecchia  la loro anima devozionale. Gli affreschi di Rota, come quelli di Bretto, presentano tutte queste caratteristiche, inoltre alcuni particolari tecnici prima descritti permettono di restringere il campo a soli tre membri della famiglia  Baschenis che dai documenti, sappiamo essere presenti nell’area bergamasca nei primi anni del XVI secolo. Si tratta dei fratelli Simone (deceduto, forse, prima del 1505)  e Dioniso, e del figlio di Simone, Cristoforo II[12]. In particolare gli affreschi del Bretto, più completi di quelli di Rota, mostrano soluzioni e particolari esecutivi che richiamano, a mio avviso, le opere note o attribuite alla mano di Dioniso Baschenis, coadiuvate, forse dall’intervento del fratello Simone. A Dioniso, e più in generale all’ambito della “stirpe” di Cristoforo I Baschenis, padre di Dioniso e Simone, rimandano i grandi occhi chiari  i larghi volti, le grandi dita delle mani e gli ampi orli delle vesti, che ritroviamo nelle scene della vita di sant’Antonio dipinte da Dionisio, all’esterno della chiesa di Sant’Antonio a Pelugo in provincia di Trento e nel San Cristoforo della facciata[13] . La decorazione all’interno sulla ghiera dell’arco della lunetta di Rota con motivi floreali ricorda molto da vicino l’analogo motivo decorativo sulla cornice del San Cristoforo unica opera firmata da Dionisio e datata 9 Ottobre 1493 . Anche la figura del Santo benedicente sembra mostrare alcuni particolari che lo avvicinano alla produzione dei Baschenis, ma più prossimi ai membri  facenti parte del “ramo di Lanfranco”, con elementi appartenenti  ad una generazione di pittori precedente a Dioniso e Cristoforo Baschenis. In particolare  il volto  può  avvicinarsi alle figure di evangelisti eseguite da Angelo Baschenis sulla volta della sacrestia di Ornica. datate 1485. Gli alberi dalla caratteristica doppia chioma si ritrovano sia a Rota ad Ornica[14].

4 visi

Figura 5 Confronti tra gli affreschi di Bretto a sinistra. e gli affreschi di Rota a destra.

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Note

[1]Ringrazio Aquilino Rota per la preziosa testimonianza frutto di ricordi personali  tramandati negli anni.

[2]Nell’Archivio Parrocchiale si trova la relazione dei restauratori corredata dalle fotografie scattate nel 1999.

[3]Ringrazio Aquilino Rota per avermi messo a disposizione le foto scattate pochi giorni prima del restauro del 1995.

[4] L’iconografia della Madonna col Bambino ritratto in posizione eretta sembra aver avuto particolare successo dalla seconda metà del 1400  nelle aree vallive della bergamasca dove la raffigurazione delle Madonne in trono era legata a pratiche di ex voto e a forme di esorcismo e di protezione contro malattie per prevenire le mortalità infantili come si evince dalla raffigurazione di Cristo ritratto sempre come un fanciullo già grande, sano e robusto.

[5]I particolari citati sono il frutto dell’osservazione di immagini ad alta risoluzione a colori invertiti.

[6] La chiesa di San Ludovico sorge nella frazione di Bretto nel comune di Camerata Cornello, edificata nella metà del XV secolo per volere di un ramo della famiglia Tasso, venne  grandita durante il XVI e XVII secolo. Durante interventi di restauro nel 2007 si rinvennero, sulla volte e le pareti del presbiterio le tracce di affreschi databili con precisione al 1504.  Per un quadro storico Crf. BOTTANI 2009, pp. 15-20.

[7] Per una lettura generale sulle pitture del Bretto Cfr.  DAFFRA 2009, pp. 89-130. Piccole differenza nella resa delle chiome e dei troni, che appaiono a Rota più ricercate e moderne rispetto al Bretto, e una resa più schematica e corsiva nei dipinti di Rota inducono a datare gli affreschi di San Siro un paio di anni dopo quelli di San Ludovico confermando la data 1506 riportata da Don Pelaratti nel uso manoscritto.

[8] Un elemento prezioso  per datare gli affreschi dei tre santi della guarigione è una data. un tempo visibile, graffita sulla veste del Sant’Antonio recante la scritta Agosto 1575 che permettono di collocare l’esecuzione a qualche decennio precedente a tale date.

[9] Sull’attribuzione degli affreschi della chiesa di Bretto ad un membro della famiglia Baschenis Cfr. CERUTTI 2004, pp.79-82

[10]Per un quadro sintetico sulla storia degli studi dei Baschenis Cfr. MOTTA 2011, pp. 20-22.

[11] Conosciamo due distinti rami di Baschenis originari della frazione Colla nel comune di Santa Brigida. Il ramo detto di Lanfranco di cui conosciamo quattro pittori (Antonio, Angelo e i fratelli Giovanni e Battista) e il ramo, più complesso detto di Cristoforo. Per un quadro generale sui Baschenis Cfr. PASSAMANI 1989, pp. 423-427.

[12] Di Simone Baschenis non conosciamo alcuna opera e solo pochi documenti attestano la sua attività di pittore a Bergamo (specie di stemmi)  alla fine del 1400, da un atto notarile  risulta  già defunto nel 1505 .Di Dioniso conosciamo solo un’opera data e firmata  9 ottobre 1493 sulla facciata della Chiesa di Sant’Antonio Abate a Pelugo (Tn). Di Cristoforo nato nel 1477, invece, conosciamo numerose opere e documenti  nell’area trentina e sappiamo che risedeva a Colla nel 1505. Cfr. PASSAMANI 1989, pp. 495-504.

[13]Sant’Antonio di Pelugo è una piccola chiesa cimiteriale in Val Rendena  affrescata,  da Cristoforo I, Dionisio e Cristoforo II a distanza di una venti anni  l’uno dall’altro. A Dionisio sono ascrivibili, oltre al gigantesco San Cristoforo sulla facciata , le quindici scene delle trenta originarie, ancora visibili sul fianco meridionale della chiesa con le storie di Sant’Antonio. Le vicende del Santo  sono raffigurate con uno stile rapido e sintetico con figure dall’accesa cromia all’interno di sfondi architettonici e paesaggistici molto schematici. Cfr. PASSAMANI 1989, pp. 499-501.

[14] Per un quadro sullo stile  e sulle opere di  Angelo Baschenis, attestato  anche presso la chiesa di Roncola  nel 1482  cfr. PASSAMANI 1989, pp. 432-435.

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 Bibliografia

BOTTANI T. 2009, Le sorprese di un restauro in Storia di un restauro. La chiesa di San Ludovico al Bretto, a cura di T. BOTTANI e W. MILESI  Bergamo, pp. 15-21,

CERUTI V.  2004, I Baschenis, Bergamo.

DAFFRA E. 2009, Pittori al Bretto. Un primo sguardo di Insieme in Storia di un restauro. La chiesa di San Ludovico al Bretto, a cura di T. BOTTANI e W. MILESI, Bergamo, pp. 89-95.

MOTTA G. 2011, Morti danzanti, martiri, santi e imperatori, in Atlante Bresciano n. 106, pp. 19-26.

PAGNONI L. 1979, Chiese parrocchiali bergamasche: appunti di storia e arte, Bergamo.

PASSAMANI B. 1989, I Baschenis di Averara, in I Pittori Bergamaschi. Il Quattrocento vol. 1,  pp. 423-577, Bergamo.

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